Musine, la ragazza uragano

Musine, la ragazza uragano

Intellettuali perseguitati, le memorie di una scrittrice albanese

L a mia vita universitaria è l’autobiografia giovanile di Musine Kokalari (1917- 1983) – oggi riconosciuta quale prima, grande scrittrice e poetessa albanese – scritta tra il 1937 e il 1941 durante gli anni di studio alla Sapienza. Si tratta della prima sua opera che a maggio, a settant’anni circa dalla stesura, vedrà la luce in Italia, Paese per il quale era stata pensata, e nella collana «La memoria restituita» dell’editore Viella, patrocinata dalla stessa Sapienza e dall’Archivio di Stato di Roma. Frutto di un lungo lavoro di ricerca storica, archivistica e antropologica svolto fra Roma e Tirana da Simonetta Ceglie e Mauro Geraci, il volume includerà anche un corposo inserto di immagini e documenti in gran parte inediti e un saggio del poeta Visar Zhiti. Composta a Roma durante il fascismo e direttamente in lingua italiana, La mia vita universitaria testimonia l’entusiasmo di chi guardava agli studi accademici come alla «più grande e nuova aspirazione per una ragazza albanese». La formazione di una coscienza critica e politica tuttavia venne spezzata alla radice dalla condanna, dai lunghissimi anni di reclusione e isolamento forzato. Che Musine Kokalari, rientrata in Albania nel ’42, dovette subire fino all’83, anno della sua morte, quale tenace organizzatrice di un articolato progetto di democrazia e libertà nazionale fortemente temuto e stroncato dall’incipiente regime comunista di Enver Hoxha. Molteplici le ragioni che rendono preziosa questa prosa che ci accompagna tra dolcezze e paure, gioie e tristezze, amicizie e abbandoni. Si ritrova il registro umano e poetico per il quale la giovane Musine era già nota in patria come autrice di finissimi racconti ambientati nel mondo popolare albanese. Si aggiunga il confronto con una nuova lingua e un nuovo Paese, anche se, tra il 1939 e il 1942, l’Albania si trovava sotto l’occupazione dell’Italia fascista. La mia vita universitaria è quindi il risultato di due punti di vista dialettici, l’albanese e l’italiano; testimonianza d’antiche controversie. È un testo «adriatico», differenziale, che coltiva il dolce, malinconico «sguardo da una certa distanza» di verghiana memoria. Interessantissimo per i continui scatti narrativi della ragazza albanese e musulmana che riesce a fronteggiare un mondo romano, maschile, fascista, cristiano vissuto con la curiosità dell’intellettuale. Presente anche una costante attenzione per «questioni femminili», per le quali Musine adottava lo stesso pseudonimo usato per inchieste davvero coraggiose per una ragazza di quei tempi, che denunciavano i problemi sociali della donna nell’Albania anni Trenta. Per l’appassionata ricerca di una via democratica ostile a ogni dittatura, Musine, condannata a vita dalla morsa del comunismo albanese, resta la «ragazza uragano» cui possono guardare anche le ragazze d’oggi. © R. P.

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