Inchiesta: autori swahili d’oggi

Inchiesta: autori swahili d’oggi

 

di ROBERTO GAUDIOSO

 

Nel 1964 vengono unificati due territori: uno, popolato da leoni ed elefanti, ricco di laghi grandi come mari; l’altro, circondato da imbarcazioni di legno scuro e vele triangolari puntate verso il basso, sulle onde dell’oceano sferzate dal canto del muezzin. All’unione di questi territori si dà un nome composto dalle terre che hanno da poco ottenuto l’indipendenza: Tanganica (1962) e Zanzibar (1963). Formata dalle prime tre lettere e dalle vocali comuni di queste terre, nasce la Tanzania. Come lingua nazionale si sceglie lo swahili (o kiswahili), idioma bantu originario della costa e già lingua franca dell’Africa Orientale. Fatta la Tanzania, bisognava fare i tanzaniani; quindi Nyerere (primo ministro e artefice dell’indipendenza) decide di unificare il popolo attraverso lingua e identità swahili. Lo swahili era particolarmente adatto perché già lingua transnazionale di un eterogeneo territorio e di più culture: dal Congo alle Isole Comore, dalla Somalia al Monzambico. Era, inoltre, una lingua di grande tradizione culturale e letteraria che ne aveva reso possibile l’impiego a tutti i livelli: la sua ricchezza doveva essere già iniziata quando il viaggiatore arabo Ibn Battuta visitò Kilwa nel 1332 e diede notizia dell’esistenza di poeti locali. I primi documenti di questo periodo «arcaico» risalgono ad un lasso di tempo che va dal XIV al XVI secolo, mentre con certezza possiamo datare l’inizio del periodo classico con il primo poema epico Utenzi wa Tambuka (1728). 

La letteratura swahili è, dunque, per sua stessa origine, transnazionale: si scrive e si canta in swahili dalla costa nord del Kenya a quella sud della Tanzania, isole comprese. Il suo prestigio, quindi, veicola un’identità costiera che, seppure aperta alle molteplici influenze che arrivano da ogni parte del mondo, è diversa da quella continentale. I confini non erano netti, le grandi città costiere del Tanganica erano un punto di contatto con le isole di Zanzibar (Unguja e Pemba). Alla fine degli anni Sessanta si delineano due fazioni che discutono sulla libertà dello scrittore e sulla possibilità che questa riformi la tradizione letteraria. Un lettore occidentale guarda con distacco a questo tipo di confronti, abituato a leggerli solo sui manuali come ricostruzioni storiche. Allora questa disputa si aprì perché era in gioco una nuova identità, quella nazionale; e non è mai veramente finita, perché interessi politici, economici e talvolta religiosi non hanno mai reso possibile una vera identità dei tanzaniani. Negli ultimi mesi, infatti, la questione politica è ferma su una riforma costituzionale che riguarda proprio l’unione tra Zanzibar e Tanganica e, presumibilmente, sarà ancora più pressante tra qualche mese, quando si avvicineranno le elezioni previste per ottobre prossimo. Tuttavia l’unione e la scelta dello swahili come lingua unitaria è stata tutt’altro che un fallimento. La Tanzania è uno degli Stati più sicuri, stabili e pacifici dell’intero continente africano. Il punto di frattura tra classicisti e riformisti si riferiva soprattutto alla questione del verso libero. Per la verità i due gruppi erano molto eterogenei. Tra i classicisti c’era chi rifiutava tutto (generi nuovi, lingua non arcaica, etc.) e riteneva che quei componimenti fossero privi di valore letterario.

Altri pensavano che i versi liberi, anche se scritti in swahili, non fossero poesia swahili: per lo più erano convinti che le posizioni dei riformisti fossero dettate dall’influenza occidentale. Fra i riformisti, inoltre, c’era chi considerava la letteratura swahili come letteratura nazionale e chi, invece, la vedeva già in un’ottica transnazionale (almeno relativa all’Africa Orientale). Questi ultimi ne esaltavano l’africanità, l’orgoglio nero, l’identità e in questo senso c’era chi riteneva necessario superare le forme classiche, in quanto anche quelle venivano da fonti estranee (per lo più arabe). La pietra dello scandalo è senza dubbio Euphrase Kezilahabi (1944), scrittore e poeta swahili nato sull’isola di Ukerewe, nel Lago Victoria, che scrive poesie in versi liberi ed è l’autore di Rosa Mistika (1969), romanzo non gradito da molti. Il libro mostra gli effetti di una rigida educazione proibizionista del personaggio principale, un’adolescente che si dedica al sesso ed è costretta ad  aborti clandestini. Anche se non si registrano descrizioni crude, è stato ugualmente considerato osceno. È risultato sgradito perché mostra l’inefficacia dell’educazione tradizionale nel nuovo contesto cittadino ed evidenzia come gli uomini di potere ne approfittino. Inoltre, dato che il nome della protagonista, Mistika, è uno degli appellativi della Vergine Maria, l’accostamento è stato ritenuto scandaloso. Kezilahabi – come detto – e il drammaturgo Ebrahim Hussein (Kilwa, 1943), fra gli anni Sessanta e Settanta, iniziano a scrivere poesie in versi liberi swahili. La prima raccolta è del 1974, Kichomi (Fitta) di Kezilahabi, di straordinaria importanza per la forza dei versi, capaci di suscitare grandi emozioni nei lettori: «Estraniato barcollo / urlo come / un bue al macello /aprite la porta! / la porta aprite! /ma è sangue e terra l’uomo, / non m’aprirà». Soprattutto la sua sperimentazione ha aperto la porta a quelle successive, alla riforma del canone swahili (anni Ottanta) di Said Ahmed Mohammed, alla poesia visuale (anni Novanta) di Kithaka wa Mberia e al poeta-performer dei nostri giorni Mrisho Mpoto. Kezilahabi è uno dei più grandi scrittori swahili di tutti i tempi, la sua ricerca estetico-espressiva si lega alla filosofia, facendo della sua poetica un esempio di pensiero poetante. Una scelta di versi tratti dalla sua prima raccolta è stata pubblicata in Italia nel 1987 col titolo Sofferenza, tradotta da Elena Zubkovà Bertoncini (edizioni Plural), che ha anche curato, nel 2011, per le edizioni Nuovi Orizzonti, la versione di Chi ha provato il paradiso di Farouk Topan (Zanzibar, 1940).  Si tratta di una commedia elegante e divertente, ambientata in Paradiso, che in un’atmosfera irreale al limite del grottesco, tratta con leggera ironia temi difficili come il rapporto tra le religioni e l’alienazione dell’uomo eccessivamente ancorato a credenze (religione compresa), pregiudizi e ideologie. Topan, drammaturgo e studioso, fautore del verso libero, è stato professore di Kezilahabi all’Università di Dar es Salaam ed ha scritto la prefazione di Kichomi, vero e proprio manifesto di orgoglio e speranza per la nuova poesia swahili. Da Zanzibar proviene anche Said Ahmed Mohamed, uno dei più grandi scrittori swahili viventi. In italiano è stato tradotto da Flavia Aiello il romanzo del 1980 Utengano con il titolo Separazione (edizioni Iride, 2005). Scritto con un linguaggio colorito ma sofisticato (lo standard swahili prende origine dalla varietà parlata a Zanzibar), il romanzo, anche se permeato dagli ideali socialisti conformi al governo di Nyerere, è una delle prime testimonianze critiche della società zanzibarina indipendente e post-rivoluzionaria e trasmette dubbi e timori nei confronti della dirigenza politica africana post-coloniale. Dello stesso anno è Sikate Tamaa (Non perdere la speranza), prima raccolta in versi liberi, dallo stile elegante e linguaggio forbito, che innova la tradizione in modo raffinato. 

Simile scelta stilistica, ma con un linguaggio assai diverso – quello dello swahili continentale – contraddistingue le raccolte poetiche di Mugyabuso Mulokozi (Bukoba, 1950) e Kulikoyela Kahigi (Biharamulo, 1950) che negli anni Settanta hanno pubblicato tre libri a quattro mani. Zubkovà Bertoncini ha tradotto il componimento di Mulokozi Polenta e uova (edizioni Di Felice, 2013), tratto dalla raccolta del 1976 Malenga wa Bara (I bardi della terraferma) scritto assieme a Kahigi. Stesso anno, stessa casa editrice e stessa traduttrice per il racconto La libertà di un giorno (1978) di Mohamed Suleiman Mohamed (Zanzibar, 1945), uno dei più apprezzati narratori swahili. Altre traduzioni sono state pubblicate in diverse riviste, alcune presenti sul web. Ma siamo solo all’inizio. Restano da tradurre molte opere contemporanee di notevole interesse letterario, estetico e filosofico. Lo stesso dicasi degli autori del periodo classico: bisogna almeno ricordare Muyaka bin Haji al-Ghassaniy (1776-1840), Shaaban Robert (1909-1962), padre della lingua e della «transizione» ed Ebrahim Hussein (1943), considerato il più grande drammaturgo swahili.R. G.©

Tratto da pp. 9-11 della Rivista 31/2015

 

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