Lungotevere della Vittoria 1: la base per ripartire verso altri mondi
di Nour melehi
Che cosa avviene quando muore uno scrittore come Moravia? Come si evita la dispersione di un patrimonio biografico, storico e artistico insieme? Dove va a finire la memoria di un milieu culturale e letterario che ha segnato il ’900 europeo? Fortunatamente nel caso dell’autore de Gli indifferenti, il dubbio si scioglie grazie all’esistenza di un luogo deputato a rappresentarne l’identità e l’eredità: la casa di Roma – al numero 1 del Lungotevere della Vittoria – dove egli ha vissuto la fase più matura – ma anche più intensa – della sua vita: dal ’63 al ’90, anno della morte. Subito dopo s’è costituito il «Fondo Alberto Moravia», con l’intento di sorelle, amici e, soprattutto, delle compagne di una vita, di mantenere intatta la dimora con i suoi arredi e le consuete geometrie private, facendone un centro di conservazione e di ricerca, punto di riferimento per studiosi e luogo di eventi per promuovere l’opera, il pensiero e l’impegno intellettuale dello scrittore. Il tutto in linea con lo spirito di Moravia, che accoglieva volentieri in casa i giovani letterati che desideravano incontrarlo – ne è testimone la biblioteca che alterna grandi classici a opere di esordienti e giovani – e che coltivava amicizie con artisti di differenti generazioni, come rivela l’eterogeneità della sua collezione d’arte: dai ritratti di Renato Guttuso e Carlo Levi ai lavori dei pittori di Piazza del Popolo (Mario Schifano, Tano Festa e Franco Angeli). S’è fatta una prima ricognizione di tutto ciò che vi era nella casa – oggetti, quadri, libri, carte, fotografie – al fine di creare un catalogo ragionato, una mappatura della produzione autonoma ed anche della rete di relazioni, da cui peraltro emergono stagioni di intensi e felici scambi fra letteratura, cinema e arti plastiche. E per quanto Moravia avesse scelto di viaggiare con bagaglio leggero, facendo della sua residenza romana la base da cui ripartire continuamente per altri mondi – l’Africa soprattutto, ma anche Medio Oriente, Asia e Americhe – e nonostante molte carte non siano state conservate dall’autore stesso, riunire le infinite ramificazioni della sua attività letteraria ha richiesto tempo e pazienza. Soprattutto cura. Solo negli ultimi due anni si è giunti a un definitivo assetto dell’archivio, il cui materiale verrà pubblicato quanto prima. Patrimonio materiale si diceva, ma sul quale poter anche fantasticare: visitare l’appartamento, sostare nelle sue stanze, con l’attitudine rispettosa di chi sa che il padrone di casa è poco distante, magari di là, nello studio, intento a buttare giù un appunto prima che l’idea lo abbandoni; immaginarlo mentre fa colazione, al mattino presto, e dare inizio alla scrittura quotidiana, quel suo battere deciso e ritmico sui tasti della Olivetti. Le telefonate: «Moravia, qual è la sua opinione su …?», oppure «Alberto, a che ora pensi di partire per Sabaudia?». Percorrere con lo sguardo lunghe file di libri, affacciarsi dalla terrazza e trovare lo stesso immutato paesaggio, il Tevere in primo piano e i pini di Villa Balestra sullo sfondo. Così la casa di uno scrittore diventa cerniera tra un passato denso di storie e un futuro, inteso come comunità cui trasmettere un lascito importante. Adesso ciò è possibile, grazie alla generosa donazione delle eredi – Dacia Maraini e Carmen Llera – al Comune di Roma, che dal 2010 ha inserito casa Moravia fra le case-museo della città.