di VALERIO NARDONI
Mario Luzi nasce il 20 ottobre 1914 a Castello (all’epoca, comune di Sesto Fiorentino, oggi di Firenze), dove il padre Ciro è capostazione (come quello di Salvatore Quasimodo: «Il tuo berretto di sole andava su e giù / nel poco spazio che sempre ti hanno dato / ... Quel rosso del tuo capo era una mitria, / una corona con le ali d’aquila»). Qui frequenta la scuola elementare. Nel 1927, per motivi legati al lavoro paterno, la famiglia si trasferisce per due anni a Rapolano Terme, nei pressi di Siena, evento che segna una tappa decisiva nell’immaginario del poeta, che, nell’intelligente e raffinata esattezza dell’arte senese, riconoscerà sempre le sue radici. Ne è testimonianza il libro Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994), forse il capolavoro di Luzi, che descrive il ritorno da Avignone a Siena del grande pittore trecentesco, nella cui figura sembra proiettarsi il poeta stesso. Siena è dunque matrice imprescindibile nella formazione artistica di Luzi; così come anche la Francia, da un punto di vista culturale, è ugualmente determinante e sempre presente. Luzi si laurea, infatti, nel 1936 con una tesi sullo scrittore François Mauriac, esponente di primo piano della cultura cattolica d’Oltralpe. A quel tempo, insieme con i compagni della sua generazione (Bigongiari, Macrí, Parronchi, Bo, Traverso, ecc.) frequenta il Caffè San Marco e poi le Giubbe Rosse, dove entra in contatto con alcuni grandi ingegni dell’epoca – fra cui Eugenio Montale – e specialmente con il poeta Carlo Betocchi, in cui Luzi sempre riconoscerà un vero maestro. Il suo itinerario poetico si svilupperà poi dal 1935, anno di pubblicazione della raccolta La barca, libro archetipico della poesia italiana del suo tempo, fino all’ultima raccolta uscita postuma nel 2008 con il titolo Lasciami non trattenermi: le sue numerose opere, come è noto, costituiscono una delle esperienze poetiche più importanti del ʼ900, accanto ai nomi più grandi, da Ungaretti a Montale, da Quasimodo a Saba. Il poeta stesso ha diviso il corpus della sua opera poetica in tre grandi sezioni, raccolte a cura di Stefano Verdino nel Meridiano uscito nel 1998, cui si aggiunge una quarta stagione, che comprende le opere più tarde. La prima di queste sezioni si intitola Il giusto della vita e contiene le seguenti raccolte: La barca (1935), Avvento notturno (1940), Un brindisi (1946), Quaderno gotico (1947), Primizie del deserto (1952), Onore del vero (1957).
In questi componimenti le suggestioni dell’ermetismo danno sì vita a poesie arcane e surreali (come la celeberrima Avorio), ma in cui c’è una vibrazione speciale, che si percepisce sempre come autentica e mai come artefatta. Tale vibrazione, tale profondità della parola e del verso luziano, sa spaziare dall’odore innamorato della stanza di una giovinetta, al cupo incombere della guerra, già presentita nei riflessi stridenti di nuvole, piante, città, silenzi che si fanno emblemi delle sofferenze e delle angosce dell’esistenza umana. La Seconda guerra mondiale non poteva non lasciare una profonda ferita nel giovanissimo Luzi, che contempla la realtà dolente del conflitto e del dopoguerra, cercando di scoprire nelle ombre, nelle croci e nei fiori tristi che ne sono comunque rimasti delle primizie a riscattare il deserto e le lacerazioni prodotte dalla violenza bellica: «è poco, d’altro non vi sono segni» recita un famoso verso della raccolta Onore del vero. La seconda sezione si intitola Nell’opera del mondo, un titolo programmatico, che indica l’intenzione del poeta di andare oltre la dimensione del singolo individuo ed esplorare l’opera (cioè tutto ciò che accade e si trasforma) nel mondo, di cui Luzi cerca di interpretare le voci e le pene. Questa sezione si apre con la raccolta Dal fondo delle campagne, uscita nel 1965 ma scritta prima, in seguito alla morte della madre, Margherita (1959), figura decisiva nella formazione della sensibilità religiosa del figlio. L’insieme di queste raccolte segna una svolta notevole nella poetica di Luzi, come si percepisce anche solo dall’aspetto esteriore: nella raccolta Nel magma (1963) il verso si allunga e giunge fino ai limiti del parlato; Su fondamenti invisibili (1971) vede affinarsi il pensiero in tre lunghi componimenti di carattere filosofico; la stagione si chiude con Al fuoco della controversia (1978), dove il caos incendiario del magma degli eventi e l’ordine del pensiero convergono in una riflessione attenta alla dimensione e all’impegno civile. La terza sezione si intitola Frasi nella luce nascente ed è composta dalle raccolte: Per il battesimo dei nostri frammenti (1985), Frasi e incisi di un canto salutare (1990), Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994). Si tratta di tre grandi opere di struttura unitaria, dove cioè ogni poesia si innesta nella conformazione globale del volume o della sezione in cui è collocata. La poesia di Luzi intraprende in questa terza fase una risalita vertiginosa alle origini della parola (per Luzi la parola è il punto più alto, il volo della profondità dell’essere umano); in esse il senso ultimo e sacro della vita è indicato anche dall’uso della parola salutare, che indica nella coscienza del poeta un senso di salute, ma anche di saluto, come se quello dovesse essere il suo ultimo libro. Non sarà così: nel 1994, anzi, uscirà il decisivo Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, che si svolge, appunto, in una dimensione intermedia fra terra e cielo; nel 1999 apparirà poi Sottospecie umana (1999), titolo ancora fortemente vibrante (come mi spiegò lui stesso una mattina a passeggio lungo l’Arno) fra l’appartenenza alla specie umana e a una «sottospecie» di quella stessa umanità, in quanto il poeta si sente in qualche modo postumo rispetto al se stesso volato via dal mondo coi suoi amici più cari ormai scomparsi; e infine Dottrina dell’estremo principiante (2004), un titolo evocativo della figura del Luzi novantenne, uomo umile e sapiente, sempre disposto a ricominciare, e che, pur inesperto del cammino della vita, vi si affida attento e fiducioso. La produzione poetica di Mario Luzi è altresì arricchita da alcuni testi teatrali – Pietra oscura (1946), Il libro di Ipazia (1978), Rosales (1983), Hystrio (1987) e Il fiore del dolore (2003) – che sono a loro modo prova delle tensione verso il dialogo e la coralità che anima tanta scrittura luziana, indizio certo di una personalità poetica sempre protesa a cogliere, attraverso l’arte, qualcosa dell’uomo, del mondo, del creato, secondo
le varie e successive fasi della sua produzione.
Da ricordare, infine, l’ampia bibliografia di studi e traduzioni, nati di pari passo con il suo lavoro di intellettuale e di insegnante (dopo i primi anni nelle scuole superiori, dal ʼ55 allʼ84 è docente di francese all’università di Firenze), che manifestano la costante attenzione alla poesia, alla letteratura, alla filosofia e all’uomo, in particolare ai problemi etici che si sono imposti nel secolo «controverso» che Mario Luzi ha vissuto quasi interamente. Molti anche i suoi viaggi, che – oltre ai costanti ritiri estivi nella cittadina di Pienza (a partire dal 1979) – lo portano dalla Cina all’Unione Sovietica, all’amata Irlanda: tutte esperienze poi affacciatesi con rilievo nella sua opera. Non riceverà il Premio Nobel, come molti avrebbero auspicato, ma sarà invitato da Papa Giovanni Paolo II a scrivere i testi per la Via Crucis, pubblicati col titolo La passione. Via Crucis al Colosseo (1999) e nel 2004, poco prima della morte, avvenuta il 28 febbraio 2005, sarà insignito dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi del titolo di senatore a vita.
Tratto da pp. 1-8 della Rivista n. 26-27/2014