L'attività di promozione della lingua e della cultura italiane all’estero è demandata, come noto, al Ministero degli Affari esteri, che si avvale attualmente di una rete di 90 Istituti italiani di Cultura, distribuiti nei cinque continenti. Nati nel 1926 e sottoposti ad una prima regolamentazione nel 1940, gli Istituti sono stati, di volta in volta, espressione dei governi in carica. Mentre il regime fascista aveva inteso attuare una politica con finalità di tipo propagandistico e nazionalista, le leggi emanate successivamente (nel 1967 e nel 1990) hanno cercato – tenendo anche conto del mutato contesto politico-economico – di venire incontro ad una nuova e sempre più crescente domanda di cultura, capace di esprimere le nuove tendenze e di far conoscere all’estero il nostro patrimonio culturale. Se da un lato la legge del 1990 – voluta dall’allora ministro degli Esteri, Gianni De Michelis – ha introdotto profonde innovazioni istituendo il ruolo dell’operatore culturale ed inserendo nuove norme per il reclutamento del personale, dall’altro si avverte l’esigenza inderogabile di procedere ad una sua profonda riforma, al fine di adattarla alle nuove sfide che l’Italia deve affrontare sulla scia degli altri Paesi membri dell’Ue e, in particolare, di quelli più sensibili per vocazione culturale quali Francia, Germania e Spagna. Ma vediamo quali sono gli interrogativi da porre e quali potrebbero essere le risposte. In tempi rapidi, naturalmente.
Domanda
Gli Istituti devono promuovere solo la conoscenza della lingua e della cultura italiana, come dice la legge del 1990 o sono tenuti, dato che il nostro Paese è membro dell’Ue, a perseguire una politica culturale più ampia ed aperta per contribuire alla formazione di una coscienza europea?
Risposta
L’Italia sarebbe tenuta, in forza del suo patrimonio culturale, a tener vive le tradizioni che affondano le radici in Europa e dovrebbe operare assieme agli altri Paesi, promuovendo iniziative volte a valorizzare le diverse culture. Occorrerebbe creare nuove strutture – quali l’istituzione di «Case europee della cultura» –, che consentano, attraverso l’impiego di sinergie e finanziamenti comuni, di attuare questa politica. Un passo in tal senso è stato fatto con la fondazione di Eunic (European national instituts for culture), organismo indipendente, al quale hanno aderito la maggior parte degli Istituti di Cultura europei.
Domanda
Strategie da adottare per affrontare le sfide, rappresentate attualmente dalle nuove tecnologie e dalla concorrenza attuata da quei Paesi che destinano alla cultura risorse ben più consistenti delle nostre?
Risposta
Il ministero degli Affari Esteri dovrebbe operare con maggiore efficacia dal Centro, promuovendo una politica incentrata su grandi progetti di comune interesse da far circolare all’estero. Ciò consentirebbe di ridurre le spese e di imprimere un’immagine più forte di politica estera, pur lasciando agli Istituti la facoltà di realizzare proprie iniziative al fine di venire incontro alla domanda di cultura in loco. L’alleanza con soggetti privati (Aziende, Fondazioni, Istituti di Credito, ecc) è ormai un must, tenuto conto che il nostro Paese destina alla cultura, considerata già da molto tempo una dea negletta, risorse miserevoli, a differenza di altri Paesi quali Francia e Germania, che, pur disponendo di un patrimonio culturale non paragonabile al nostro, sono soliti impiegare ben altri mezzi. Al fine di indurre i soggetti privati ad investire in cultura, sarebbe quanto mai opportuno, sulla falsariga di quanto già accade in altri Paesi, concedergli agevolazioni fiscali.
Domanda
Il reclutamento per come oggi viene effettuato è idoneo a selezionare un personale fornito delle doti necessarie per dirigere un Istituto italiano di Cultura?
Risposta
Occorrerebbe sottoporre, in sede di concorso, i candidati non solo a prove psico-attitudinali, ma anche a prove di esami per accertare, da un lato, la preparazione culturale; dall’altro, la conoscenza del project management, la capacità di comunicazione, le doti organizzative nella gestione amministrativa e nelle risorse umane.
Domanda
Le cosiddette nomine di «chiara fama», che spettano al ministro in carica, valutano le competenze necessarie per conferire una direzione d’Istituto?
Risposta
Tenendo conto dell’esperienza acquisita sul campo, il personale di carriera ha già questi requisiti. Non altrettanto si può dire per i personaggi di «chiara fama» (a volte sconosciuti al grande pubblico), per i quali, fra l’altro, non è previsto alcun corso di formazione presso l’Istituto diplomatico. Non hanno tutti dato prova di una buona gestione degli Istituti, salvo alcune eccezioni rappresentate da personalità che hanno rivestito il ruolo di manager in amministrazioni pubbliche e/o istituzioni culturali private o da personaggi di spicco, come accadde nella prima fase di applicazione della legge del 1990. L’esperienza limitata, per alcuni, al solo settore di provenienza professionale non ha consentito, inoltre, di promuovere la cultura italiana nei suoi molteplici aspetti. Inevitabile, quindi, di dare all’estero un’immagine solo parziale del nostro patrimonio culturale. Allora non sarebbe più opportuno conferire ai «chiara fama» – tenuto conto della loro area di specializzazione – incarichi di «esperti» presso le nostre rappresentanze diplomatico-consolari?
Domanda
E’ equo, inoltre, che i direttori di «chiara fama» percepiscano retribuzioni di gran lunga superiori a quelle di un direttore di carriera, pur svolgendo mansioni analoghe?
Risposta
Sarebbe opportuno – oltre che giusto –, alla luce anche della spending review, ridurle sensibilmente ed equipararle a quelle dei dirigenti culturali di carriera.
Conclusioni
Perché la legge in questione non ha definito l’elenco delle dieci sedi di maggiore rilevanza su cui il ministro degli Esteri in carica nomina sua sponte dieci direttori d’Istituto, non sarebbe meglio che ciò avvenisse al più presto in modo da evitare che la scelta delle sedi vari continuamente, a seconda degli interessi individuali manifestati dagli aspiranti?
G. M.
* Già direttore degli Istituti di Cultura di Damasco, New Delhi, Ankara, Tunisi, Barcellona, Budapest, Lisbona, Stoccolma e Bruxelles
Tratto da pp. 25-31 della Rivista n. 22-23/2013