I PRESIDENTI ITALIANI DEL PEN 1938: Corrado Govoni (1884-1965)

I PRESIDENTI ITALIANI DEL PEN 1938: Corrado Govoni (1884-1965)

Aderì al Futurismo. Ma con notevoli riserve Dopo la fucilazione del figlio, si schierò contro il Fascismo

di EMANUELE BETTINI

Avrebbe potuto essere un poeta di successo, magari avrebbe potuto ottenere un posto da sottosegretario al Minculpop; invece il suo spirito dibattuto tra fascismo e libertà d’espressione lo porterà ad essere protagonista di vicende drammatiche culminate con la morte del figlio Aladino fucilato dai nazifascisti. Questo episodio gli segnò profondamente la vita e lo indusse a schierarsi apertamente contro la dittatura, per la quale aveva simpatizzato negli anni precedenti, inneggiando al regime. Corrado Govoni, figlio di agricoltori benestanti, dopo un percorso di studi irregolari, inizia il suo viaggio poetico all’età di 19 anni con la silloge Le fiale e la raccolta Armonia in grigio et in silenzio. Contemporaneamente incomincia a collaborare con le riviste Poesia, Lacerba e Riviera Ligure diretta da Mario Novaro. La sua cultura poetica va inquadrata nel triangolo tipico per i crepuscolari: Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio e i simbolisti franco-belgi. Il suo modo di poetare spinge Bonfiglioli a scrivere di lui: «Il suo crepuscolarismo consiste in una originale poetica dell’anima. L’anima è concepita come una lastra impressionabile, pronta a scomporre l’oggetto in una serie di sensazioni empiriche e a riorganizzarle in sovrimpressioni analogiche». Nonostante il suo esordio di poeta ispirato al crepuscolarismo, è affascinato dal nascente movimento futurista al quale aderisce se pur con qualche riserva, diventando amico di Tommaso Marinetti, che nel 1928 subentra a Tommaso Gallarati Scotti nella presidenza del Pen Club italiano. Il suo avvicinamento al futurismo di Marinetti avviene tra il 1905 e il 1907 con le raccolte Fuochi d’artificio e Gli aborti, ma il gusto futurista emerge significativo nelle Poesie elettriche (1911) e nelle Rarefazioni e parole in libertà (1915). Comunque, nonostante l’attrazione verso il nuovo movimento, Govoni non si considera mai un futurista, tanto che egli stesso definisce la sua adesione «un gioco». Il disastro delle Prima guerra mondiale travolge anche la famiglia Govoni e Corrado è costretto a cambiare il proprio stile di vita. Dall’agiatezza alla quale era abituato si riduce a svolgere mestieri saltuari pur di sopravvivere. In questo contesto matura il suo avvicinamento al Fascismo. Le nuove idee si fondano sul riconoscimento del coraggio, della violenza e della temerarietà. Questi temi, molto cari al poeta, che vede nel Fascismo la rinascita della nazione e l’orgogliosa appartenenza alla cultura italiana, lo spingono a scrivere un poema in lode di Mussolini, l’uomo che avrebbe fatto dell’Italia un grande Paese. Fu così che Govoni si trova ad essere vice direttore della sezione del libro della Siae e, successivamente, segretario del Sindacato nazionale scrittori e autori. Mentre il poeta matura la sua posizione letteraria, affidandosi anche all’ideologia del momento, conosce Lauro De Bosis e Tommaso Gallarati Scotti, fondatori del Pen Club italiano. I rapporti tra i soci del Pen non sono idilliaci, anche perché De Bosis è un convinto antifascista e Gallarati Scotti ha preso le distanze da Mussolini. Ben diversi sono i contatti con Marinetti, che sposa il Fascismo, divenendone un interlocutore privilegiato. La posizione di Marinetti, nominato presidente del Pen Club italiano nel 1928, va poi a scontrarsi con le finalità del Pen Centrale di Londra, che vede nel nazifascismo un serio pericolo per la pace e la libertà mondiale. È negli anni peggiori per la storia del nostro Paese che si sviluppa l’intero percorso letterario di Govoni. Poesia, narrativa e teatro lo portano a un soffio dal riconoscimento di Accademico d’Italia. Fitta è la corrispondenza con gli intellettuali del momento, le sue lettere ad Ada Negri e l’amicizia con Eugenio Montale e Giuseppe Ravegnani. Ma le lettere più appassionate sono quelle scritte ad Eleonora Duse, la grande e affascinante attrice amata da Gabriele D’Annunzio. Il 14 settembre 1921 Govoni scrive alla musa ispiratrice: «...Se l’avessi incontrata allora, oh che pensieri i miei, rispettosi ma aperti a strane immagini, tra malìe profumate e amori completi, anche terreni! Vede come sto male, come sragiono, in preda all’insonnia e allo sconforto. Mi accarezzi con una piccola promessa. Mi faccia la carità, alla lettera, Maga e Magalda, oh Perdita come l’appellava un tempo il suo Poeta sontuoso. Attendo un suo cenno generoso. Suo, per sempre e comunque, Corrado Govoni». Il tono della corrispondenza, suggestionato dall’indubbio fascino dell’attrice, vuole in qualche modo coinvolgere la Duse nella presentazione dei suoi testi teatrali. Una sua parola ne avrebbe decretato il successo. Al di là del linguaggio, più da innamorato che da autore ad interprete di testi, la corrispondenza con Eleonora segna una parte importante nei contatti del poeta con il mondo teatrale. Non meno significativa è l’amicizia con altri scrittori come Palazzeschi, Corazzini, Novaro e Moretti, con cui intrattiene costanti rapporti epistolari. Dopo le alterne vicende del Pen italiano, dovute alla posizione di Marinetti, Corrado Govoni, divenuto a sua volta presidente nel 1938, ne diventa l’erede spirituale e ne coltiva la continuità. Ma il 1938 è anche l’anno delle leggi razziali e della tragica alleanza con la Germania di Hitler. Diversi sono gli intellettuali e scrittori che firmano il manifesto sulla razza, tra cui ricordiamo Giovanni Papini e Vittorio Beonio Brocchieri. Ci sono anche scrittori che aderiscono alla Repubblica Sociale di Salò. Fra essi, Francesco Ercole (direttore della Nuova Antologia edita da Mondadori), Salvator Gotta, Guido Manacorda e gli stessi Filippo Tommaso Marinetti e Corrado Govoni. La svolta decisiva avviene dopo l’attentato di via Rasella a Roma, quando i tedeschi catturano il figlio Aladino, membro di una formazione partigiana comunista, lo torturano e lo fucilano alle Fosse Ardeatine. Qui avviene la svolta politica del poeta, che scrive il poema La fossa carnaia ardeatina. La dedica al figlio è eloquente: «Al mio amato figlio Aladino, capitano dei Granatieri di Sardegna e Partigiano d’Italia, barbaramente trucidato a Roma il 24.3.1944 dai nazifascisti, per ordine delle iene tedesche Maeltzer e Kesselring, complice necessario il mostruoso carnefice del popolo italiano, Mussolini, con commosso orgoglio di poeta, con implacabile strazio di padre». Il dramma personale di Corrado Govoni si conclude, ma si conclude anche la gloriosa esperienza del Pen Club italiano, travolto dagli avvenimenti bellici e dalla caduta del Fascismo. Bisognerà aspettare il 1948 per vedere risorgere l’associazione alla cui guida verrà eletto lo scrittore Ignazio Silone. Abbandonato il Pen e ridotto in condizioni economiche difficili, Govoni trova un lavoro da protocollista presso un ministero. Vive gli ultimi anni dimenticato, tra i ricordi del passato e la nuova realtà italiana. Comunque, dirige la rivista Il sestante letterario. Si spegne, colpito da una malattia che lo aveva ridotto quasi alla cecità, nella sua casa di Lido dei Pini, vicino a Roma. Era il 1965

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