Premio Nobel 2010 per la letteratura al peruviano Mario Vargas Llosa

 Premio Nobel 2010 per la letteratura al peruviano Mario Vargas Llosa

Quell’inedita e grandiosa «macchina narrativa»

74 anni, membro del Pen. Nel 1976 Vargas Llosa è stato presidente del Pen Internazionale, succedendo ad un altro premio Nobel, lo scrittore tedesco Heinrich Böll, che era stato eletto nel 1971.

di Fabio RodrÍguez Amaya

In uno dei pochi ma memorabili congressi di scrittori latinoamericani, celebratosi in Cile nel 1967, Mario Vargas Llosa a solo ventun anni lanciò una rischiosa, quanto affascinante teoria: in sintesi affermava come il romanzo fosse l’unico genere letterario possibile nel presente e nell’immediato futuro, perché in esso si concentravano tutti gli altri, poesia compresa. L’anno dopo sostenne a Lima, con lo scrittore colombiano Gabriel García Márquez (Nobel 1982) un dialogo pubblico, poi edito con il titolo Il romanzo in America latina (Lima, 1968) e qualche anno dopo dedicava all’autore di Cent’anni di solitudine la sua tesi per conseguire il dottorato di ricerca in letteratura a Madrid, intitolata Storia di un deicidio (1971). Vennero, poi, in crescendo, una quindicina di altri libri di saggistica sempre più ragguardevoli, sempre attinenti il romanzo e non tutti ancora conosciuti al di fuori del mondo ispanico, come Storia segreta di un romanzo (1971), L’orgia perpetua (1975), La verità delle menzogne (1990), Sfide alla libertà (1994), Lettera a un giovane romanziere (1997), Il linguaggio della passione (2001) ed altri. Quindici libri, quindi, che si alternano con i diciotto fra romanzi e racconti, le cinque opere teatrali e le migliaia di articoli giornalistici che configurano un universo letterario autonomo. Vargas Llosa, che aveva esordito come narratore con I cuccioli-I capi nel 1959 cui seguirono i capolavori La città e i cani (1963), La casa verde (1965), Conversazione nella cattedrale (1969), La guerra della fine del mondo (1981) e che lo resero famoso molto presto, inaugurava, così, teorie e concezioni fino ad allora poco trattate e riassumibili in alcuni punti: primo, quello dell’utopico romanzo totale; secondo, quello di pensare la letteratura e di esercitarla come riflessione e critica della scrittura; terzo, concepire il romanzo come entità totalizzante in grado di essere un mondo compiuto ed autonomo rispetto del mondo materiale circostante. Teoria che se da una parte affronta le tre esperienze letterarie principali – biografica, storica e sociale –, cioè i «demoni» ai quali un autore si sottomette; dall’altra, pone una questione ed obbliga lo scrittore a rivedere, come «deicida», concetti ambigui e complessi inerenti realtà, realismo, immaginario, fiction, soprannaturale. Senza però tralasciare aspetti capitali come far diventare mitica la letteratura delle periferie; trasformare in scenario città e natura che hanno come protagonisti uomini e donne, che non sono illustrazioni ma creature totali, attraversate e vissute dal linguaggio, dalla storia e dall’immaginazione. Vargas Llosa inaugurava come creatore e critico, al tempo stesso, un modo nuovo di concepire, di capire e di fare letteratura, spaziando dal romanzo storico a quello erotico, dal romanzo sociale a quello a sfondo politico. Non c’è dubbio che il prestigio dell’autore è meritatamente conquistato e se possono apparire complessi gli strumenti usati per l’analisi, i risultati conseguiti sono d’incontestabile importanza per la conoscenza della letteratura. Così come per la comprensione del mondo, dell’animo umano, delle società, dei meccanismi di potere e di concetti fondamentali come libertà, autonomia, rivoluzione, conoscenza e sapere. Con Vargas Llosa ci si trova davanti a uno scrittore che interpreta, attraverso una letteratura di prim’ordine, problematiche esistenziali, ideologiche e politiche dell’uomo contemporaneo. Vargas Llosa non è solo un innovatore, ma l’inventore di una grandiosa e inedita macchina narrativa in grado di vedere la realtà nelle sue molteplici sfaccettature. Un Nobel, questo del peruviano, concesso alla letteratura, simile a quelli dei vari Faulkner, Camus, Brodskij, García Márquez, Xingjian o Saramago. E se nel 1967 Vargas Llosa definì García Márquez l’«Amadigi dell’America latina» si potrebbe dire di lui che è il «Flaubert ispano-americano».

 

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