LA SCRITTRICE HERTA MÜLLER Socia del Pen vince il Nobel

LA SCRITTRICE HERTA MÜLLER Socia del Pen vince il Nobel

LA SCRITTRICE HERTA MÜLLER Socia del Pen vince il Nobel Alla scrittrice tedesco-rumena Herta Müller, 56 anni, socia del Pen tedesco, l’Accademia svedese ha assegnato il premio Nobel 2009 per la letteratura. L’ambitissimo riconoscimento le verrà consegnato il 10 dicembre a Stoccolma da re Gustavo di Svezia.

di ANNA MARIA CARPI

La scrittrice Herta Müller, socia del Pen tedesco, vincitrice del premio Nobel 2009 per la letteratura. È nata in Romania nel 1953 Viene dal cuore della Mitteleuropa Herta Müller; dal Banato di Temesvar, in Romania, antica colonia tedesca (sveva e sassone) assorbita poi dagli Asburgo e baluardo cristiano contro i turchi. Terreno fertile per il nazismo – il padre di Herta Müller era un SS – poi preda della dittatura di Ceausescu intesa a distruggere le minoranze tedesche e ungheresi: del milione di tedeschi che vi si trovavano prima del suo avvento ne restano ora poco più di centomila. Herta Müller nasce nel’53 nella piccola località di Nitzkydorf e fa l’università a Temesvar. Il primo libro, Bassure, esce, coi tagli della censura, nell’82 in Romania, ma quando nell’84 viene pubblicato nella Germania federale è un grande successo. L’autrice, che nell’80 aveva perso il suo posto d’insegnante di tedesco per essersi rifiutata di collaborare con la Securitate, può fare istanza di espatrio e, dopo una lunga attesa, nell’87 trasferirsi a Berlino col marito, lo scrittore Richard Wagner. Acquisita alla letteratura tedesca, già in quegli anni riceve una serie d’importanti premi. Con Bassure siamo in un piccolo crudele mondo provinciale che, creduto estinto, produce sul pubblico tedesco un potente effetto di esotico. Come dice il titolo, di là era difficile guardare fuori: «Tutto sembra vicino, ma quando ci si accosta non ci si arriva. Non ho mai capito queste distanze. Tutto correva via da me. Avevo solo la polvere in faccia, e da nessuna parte si vedeva la fine». Vi è nel realismo tedesco e austriaco dell’800 un vero e proprio genere: la «storia di villaggio». Da qui parte Herta Müller rompendo, tuttavia, la convenzione con montaggi associativi, sequenze di sogni e schegge di memoria che preludono al surrealismo lirico di Viaggiatori su una gamba sola (’89). Anche questo racconto dell’espatrio contiene un’irrealtà, un’impossibilità di trovare un solido suolo alternativo. «Nella testa le succedeva qualcosa di diverso. Avrebbe potuto essere il contrario di ciò che Irene stava giusto facendo, se lei avesse saputo cos’era […]. E questa distanza rimase, da una scarpa all’altra. Le cresceva dietro. Includeva anche le spalle». Ma anche nel Paese d’arrivo perdura la percezione dell’incomprensibile e dell’estraneità. Forse altro non è che la condizione di nomadismo dell’uomo d’oggi. La Romania di Ceausescu torna presente e tragica nel’94, in Il paese delle prugne verdi (così è stato tradotto il suggestivo ma difficile titolo tedesco Herztier, bestia cuore?) che parla di un gruppo di valorosi studenti perseguitati dal regime. Altri romanzi, come La volpe era già allora il cacciatore (’92) e Oggi avrei preferito non incontrarmi (’97), da noi non sono stranamente mai apparsi, come non è apparso il volume di ricordi e riflessioni sulla scrittura: Il re s’inchina e uccide (2003). È un indispensabile rendiconto della formazione dell’autrice, una difesa del «valore» della lingua che, se può essere strumento di menzogna e oppressione, è anche strumento, l’unico, di rivalsa su tutte le censure. Qui incontriamo anche l’altro lato di questa scrittrice in complesso drammatica: lo humour, la leggerezza, la vena giocosa. È peraltro ciò che di lei sorprende e salta all’occhio quando la si conosce di persona. Con l’ultimo romanzo, Atemschaukel (Altalena del respiro), la scrittrice si rivolge al passato della madre e di tanti tedeschi romeni rinchiusi dai sovietici nei lager, fra cui anche il vecchio poeta romeno di lingua tedesca Oskar Pastior, morto nel 2007, ignorato da noi. La statura di Pastior ha portato, come scrive Volker Weidermann sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, l’arte di Herta Müller in un’altra dimensione, quella del Nobel. Strana cosa sono il successo e la fama. Relativamente poco si è parlato di un analogo della Müller, l’ungherese Agota Kristof, fuggiasca dall’Ungheria in Francia, che scrive in francese. La sua Trilogia della città di K (tre edizioni da Seuil e due da Einaudi) appartiene, a mio avviso, alla grande letteratura.

Anna Maria Carpi

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