I cinque finalisti del Premio Pen Club Italiano 2010

I cinque finalisti del Premio Pen Club Italiano 2010

(in ordine alfabetico)

MANLIO CANCOGNI

La sorpresa - Racconti 1936-1993 ( Elliot Ed.)

Manlio Cancogni è nato a Bologna nel 1916 da genitori versiliesi. Ha pubblicato i primi racconti su “Frontespizio” e “Letteratura” poi, dopo la guerra, si è dedicato al giornalismo (è stato inviato speciale dell’"Europeo” e dell’"Espresso”) per tornare quindi alla letteratura con La carriera di Pimlico, pubblicato da Vittorini nei celebri “Gettoni” Einaudi.
Tra i suoi numerosi e fortunati libri ricordiamo: Azorin e Mirò, La linea del Tomori (Premio Bagutta), Allegri, gioventù (Premio Strega), Quella strana felicità (Premio Viareggio) e, più recentemente, Mister (Premio Grinzane Cavour), Gli scervellati e Sposi a Manhattan.

La sorpresa raccoglie per la prima volta in un unico volume un’ampia scelta dei racconti di Manlio Cancogni, la cui opera di narratore e giornalista, iniziata nei tardi anni Trenta e seguita con ammirazione da scrittori e critici letterari più anziani come Levi, Montale, Vittorini, Malaparte, e da compagni di strada quali Cassola, Tobino, Garboli, Bassani, percorre l’intero secolo ora concluso e si riverbera, sorprendentemente intatta e attuale, nel nuovo.
Quello che rende la scrittura di Cancogni unica e magistrale è la voce inconfondibile e sicura, fuori dal tempo ed estranea alle mode, sintetica e insieme attraversata improvvisamente da lampi di poesia pura: una combinazione semplice e perfetta di freschezza e luminosità, che proprio nella misura del racconto trova forse la sua espressione migliore e più felice.
E nella sequenza dei testi narrativi qui presenti, dai racconti giovanili pubblicati tra anni Trenta e Quaranta, e ispirati alla meravigliosa poetica del “sublimine”, fino alle prose più mature apparse tanto in preziose plaquettes tanto su giornali a grande tiratura come il “Corriere della Sera” e “il Giornale” di Montanelli, non è difficile riconoscere non solo la voce di un grande scrittore, ma anche un esempio straordinario di fedeltà a se stesso e ai propri valori culturali e umani, a un’idea di letteratura che non coincide con la vita, ma le è sempre accanto a interrogarsi, a rendere ragione di sé e della propria visione (morale, poetica, spirituale) del mondo e delle sue bizzarre, curiose, drammatiche, affascinanti vicende.

Simone Caltabellota

 

MAURIZIO CUCCHI

 

Vite pulviscolari ( Mondadori Ed.)

Maurizio Cucchi (Milano 1945) è uno dei nostri poeti più affermati. Ha esordito a soli trent’anni con Il disperso, subito accolto da importanti e numerosi consensi critici.
Successivamente sono apparse altre sue raccolte: Le meraviglie dell’acqua (1980), Donna del gioco (1987), Poesia della fonte (1993) e Per un secondo o un secolo (2003) tutte edite da Mondadori, quindi il romanzo Il male è nelle cose (2005), le prose La traversata di Milano (2007) e il testo in versi per il teatro Jeanne d’Arc e il suo doppio (2008).
Tra i migliori riconoscimenti cha ha ottenuto, ricordiamo il premio Viareggio (1983) e il premio Montale (1993).
Traduttore dal francese, in particolare di Stendhal, e critico letterario, ha curato il Dizionario della poesia italiana (Mondadori 1983 e 1990) e, con Stefano Giovanardi, l’antologia Poeti italiani del secondo Novecento (1996, nuova ed. 2004).

Con Vite pulviscolari, Maurizio Cucchi ha cambiato rotta e il suo umanesimo freddo, intelligente, insofferente, vagamente beffardo - o altrimenti, la sua sofferente ironia - si sono inoltrati in un territorio di confine. In effetti, l’umano e “inevitabile magone” del Disperso è divenuto qui “bolla definitiva d’aria”; il sensibile, doloroso versarsi, travasarsi - di sé - “nel niente” dell’Ultimo viaggio di Gleen si è chiarito nel pensiero poetico fondamentale: “che cos’è / il nulla?”. Se “metafisica” è innanzitutto esplorazione del confine tra esistente e non esistente, sguardo sui concetti primi, visione della struttura del mondo, Cucchi con il suo cadenzato passo feriale si è alfine incamminato nella metafisica: disintegrando ogni retorica - dei sentimenti, della natura, della vita, dello spirito, degli oggetti stessi, lontani e avviliti “senza traccia né attrito” - e negando tutte le oppugnabili rassicurazioni della psiche, riscontra su quella via la forma di ciò che è o fu uomo o donna, come un’informazione che sbuca “viva / o superstite, integra / emersa da un nero immenso tutto”. E’ il tu madre-padre-moglie che recando consolazione viene al mondo, “in quel poco tempo che è il mondo”, o sta per allontanarsene, stillante di mistero, a un passo dal nulla non nominabile (o dal nero tutto) e a un passo dalla vita. E’ la “storia…ingiustamente accidentata” di una piccola donna “gaia e turbata”, “piccola madre” retrocessa al non essere, che all’improvviso da quel buio confine si sporge, amorosa, come da una finestra fiorita. E’ l’antica ribellione “astratta, totale” di un essere chiuso nella sua insufficiente forma umana e l’attuale, clamoroso “grazie” del figlio di fronte a quella stessa forma…Ma questa temeraria poesia di Cucchi, in bilico tra cielo e “terra da mangiare”, “felice attrito / col mondo” e nulla sdrucciolevole, è anche una poesia scritta “per rimanere insieme ancora un po’”- umanamente, uomini e mondo - e per trattenere il mondo in sé, nonostante il “sopore negativo” e la “noia delle circostanze”: custodire la forma-mondo come il bene sovrano, nella sua stessa difforme struttura e nella sua vocazione ultima alla difformità.

Giorgio Ficara

 

MICHELA MURGIA

 

Accabadora ( Einaudi Ed.)

Michela Murgia è nata a Cabras nel 1972.
Nel 2006 ha pubblicato con Isbn Il mondo deve sapere, il diario tragicomico di un mese di lavoro che ha ispirato il film di Paolo Virzì “Tutta la vita davanti”.
Per Einaudi ha pubblicato nel 2008 Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell’isola che non si vede.
Il suo sito è: michelamurgia.altervista.org

Accabadora. Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno.
Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come “l’ultima”. Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. “Tutt’a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fill’e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia”.
Eppure c’è qualcosa di questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c’è un’aura misteriosa che l’accompagna, insieme a quell’ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte.<
Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell’accabadora, l’ultima madre.
La Sardegna degli anni Cinquanta è un mondo antico sull’orlo del precipizio, ha le sue regole e i suoi divieti, una lingua atavica e taciti patti condivisi. La comunità è come un organismo, conosce le proprie esigenze per istinto e senza troppe parole sa come affrontarle. Sa come unire due solitudini, sa quali vincoli non si possono violare, sa dare una fine a chi la cerca.
Michela Murgia, con una lingua scabra e poetica insieme, usa tutta la forza della letteratura per affrontare un tema così complesso senza semplificarlo. E trova le parole per interrogare il nostro mondo mentre racconta di quell’universo lontano e del suo equilibrio segreto e sostanziale, dove le domande avevano risposte chiare come le tessere di un abbecedario, l’alfabeto elementare di “quando gli oggetti e il loro nome erano misteri non ancora separati dalla violenza sottile dell’analisi logica”.

 

LUCA RICOLFI

 

Il sacco del Nord ( Guerini e Associati Ed.)

Luca Ricolfi, laureato in filosofia presso l’Università di Torino. E’ stato ricercatore presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Torino. Ha insegnato Sociologia presso la Facoltà di economia e commercio dell’Università di Modena, presso la Facoltà di Magistero/Scienze della Formazione e presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Torino.
Dal 1999 è professore ordinario nel settore scientifico-disciplinare MPSI03 (Psicometria). Attualmente insegna Analisi dei dati presso l’Università di Torino.
Nel 2002 ha fondato l’Osservatorio del Nord Ovest, presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino. Nel 2003, insieme ad altri docenti universitari, ha fondato “Polena” (Rivista italiana di analisi elettorale).
E’ membro dell’EAS (European Academy of Sociology).
Fra i suoi libri più recenti: La frattura etica (L’Ancora del Mediterraneo 2002), Manuale di analisi dei dati (Laterza 2002), Dossier Italia (Il Mulino 2005), Perché siamo antipatici ? (Longanesi 2005), Tempo scaduto. Il “Contratto con gli italiani” alla prova dei fatti (Il Mulino 2006), L’arte del non governo (Longanesi 2007), Le tre società (Guerini 2007), Ostaggi dello Stato (Guerini 2008), Profondo rosso (Guerini 2008), Il sacco del Nord (Guerini 2010), Illusioni italiche (Mondadori 2010).
Dal 2005 è editorialista de “La Stampa”. Dal 2008 tiene la rubrica Fatti & credenze su “Panorama”.

Il sacco del Nord. Saggio sulla giustizia territoriale.
Esiste un modo rigoroso per distinguere fra il reddito che un territorio produce e quello che riceve? Qual è il credito (o debito) di ogni regione nei confronti di tutte le altre? A che cosa è dovuto l’eventuale debito? Troppa evasione fiscale? Troppa spesa pubblica? Troppa inefficienza nell’erogazione dei servizi? Se il federalismo dovesse fare sul serio, ossia attuare davvero qualche principio di giustizia territoriale, come cambierebbe la distribuzione delle risorse fra le regioni italiane?
Per rispondere a queste e ad altre domande essenziali è necessario ricostruire dalle fondamenta la contabilità nazionale.
Servono lenti nuove, per guardare l’Italia senza le lacune e le zone cieche della contabilità ufficiale. Ed è precisamente questo cha fa la contabilità nazionale liberale, uno schema di analisi che riprende la distinzione classica tra settore produttivo e settore improduttivo dell’economia.
Sulla base di questo schema e di un’immensa quantità di dati, raccolti non solo a livello nazionale ma singolarmente regione per regione, Luca Ricolfi fornisce una prima serie di risposte.
E lungo il cammino non scopre solo le dimensioni del “sacco del Nord”, oltre 50 miliardi che ogni anno se ne vanno ingiustificatamente dalle regioni settentrionali, ma tanti aspetti dell’Italia che non conoscevamo ancora.

 

 

ANDREA VITALI 

La mamma del sole (Garzanti Ed.)

Andrea Vitali è nato nel 1956 a Bellano, sulla riva orientale del lago di Como.
Ha pubblicato Il meccanico Landru (1992), A partire dai nomi (1994), L’ombra di Marinetti (1995, premio Piero Chiara), L’aria del lago (2001) e, con Garzanti, Una finestra vista-lago (2003, premio Grinzane Cavour e premio Bruno Gioffrè), Un amore di zitella (2004), La signorina Tecla Manzi (2004, premio Dessì), La figlia del podestà (2005, premio Bancarella), Il procuratore e Olive compresse (2006), Il segreto di Ortelia (2007), La modista e Dopo lunga e penosa malattia (2008), Almeno il cappello (2009, finalista e vincitore di numerosi premi) e Pianoforte vendesi (2009).
Nel 2008 gli è stato conferito il premio letterio Boccaccio per l’opera omnia.
Il suo sito è: www.andreavitali.net

La mamma del sole. La motonave “Nibbio”, vecchia gloria della Navigazione Lariana, sta effettuando il suo ultimo viaggio. A Bellano sbarca un’anziana donna: sta cercando il vecchio parroco, don Carlo Gheratti. Attraversa a fatica il paese arso dalla canicola estiva, prima di scomparire nel nulla. Quando arriva la notizia che manca una delle ospiti del Pio Ospizio San Generoso di Gravedona, sulle due righe del lago i carabinieri iniziano a indagare.
Un secondo enigma segna l’estate del 1933. Dietro pressante richiesta del Partito e della Prefettura, i carabinieri devono raccogliere informazioni su una “celebre” concittadina, Velia Berilli, madre di quattordici figli, tra legittimi e illegittimi. Perché mai Vera Berilli è diventata così importante?
Due misteri, insomma, cui si aggiunge un altro problema: in caserma si è rotto il vetro del bagno, e aggiustarlo non sarà semplice…
Ancora una volta, le pagine di Vitali si animano di una piccola folla di protagonisti e comprimari: dall’equipaggio della “Nibbio” alle autorità locali, e poi don Gheratti, il sacrestano Bigé e la perpetua Scudiscia. Non possono mancare i carabinieri della locale stazione, vere star dei suoi romanzi: il maresciallo maggiore Ernesto Maccadò, l’appuntato Misfatti, il brigadiere Mannu e il carabiniere Milagra, che seguono giorno dopo giorno, con indomita passione, i gloriosi trasvolatori della Seconda Crociera Atlantica.
Con La mamma del sole, Andrea Vitali ha inventato un’altra storia in grado di divertire - con una serie di scene irresistibili – e al tempo stesso di commuovere. Crea personaggi letterari in carne e ossa e narra le loro avventure con uno stile insieme realistico e fantasioso, che rivela in superficie e scava in profondità. Così, raccontando piccole storie di paese, Vitali racconta la Storia dell’Italia più vera: quella che avverte le trasformazioni della modernità e tuttavia continua a mantenere le sue radici nei riti e nei ritmi del passato.


 

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