Ecco alcune pagine inedite del Taccuino di Bonn di Luigi Pirandello, conservato presso la Biblioteca-museo Pirandello di Agrigento. Il 12 dicembre del 1889, da Bonn, il futuro Premio Nobel scrive alla sorella: «Chiudo tutti i miei dolori nelle Elegie boreali, libro che quando sarà stampato, cioè quando lo stimerò degno di andare in stampa, credo Annetta mia, ti piacerà molto di più che il Mal Giocondo: sarà, non mi faccio inganni, un libro per poche anime elette soltanto, che sanno intendere l’arcano dolore della vita». Il quaderno accompagna l’autore per tutto il soggiorno in Germania e oltre. Nel Taccuino ci sono anche alcune poesie della raccolta Pasqua di Gea; riferimenti alla Sicilia; trascrizioni di frammenti di opere di diversi autori; versi di Dante e di Petrarca; frasi del Cellini e del Machiavelli; le Rime del Poliziano; l’Alceo, favola pescatoria di Antonio Ongaro; citazioni da Lucrezio, Orazio e Quintiliano; nonché molti appunti universitari in italiano, francese e tedesco. Figura anche una lettera ai familiari in francese; vergata una novellina in dialetto giurgintano egli chiede al fratello Innocenzo in una lettera del 5 agosto del 1890: «Mi son rimesso al lavoro. Al lavoro sulla Parlata di Girgenti. Prego pertanto Innocenzo di mandarmi subito tutto ciò che ha raccolto. Se va in campagna e mi trascrive un discorsetto del curatolo e della curatola, gliene resterò gratissimo». Gaetano Navarra (Don Gaitanu), il curàtolo della campagna del Caos, figura nella storiella. Lo scrittore mette su carta, allo stesso tempo, poesie, novelle, prose e stesure teatrali, attraverso le quali si vedono le frequentazioni letterarie e l’eclettismo culturale che prende a piene mani dai classici e dai contemporanei, traccia vistosa e tangibile del suo metodo di lavoro. Inseriti anche parecchi disegni, appunti di viaggio. E frammenti teatrali: l’abbozzo di una commedia con le parti (il personaggio femminile di Cesara Monti prende il nome da Cesara Corti, figlia dei coniugi Corti con cui Pirandello ha fatto fino a Como il viaggio per andare in Germania). Ed ancora: un sintetico disegno della letteratura tedesca nel quadro della cultura europea – testo qui accanto riportato – dove appaiono Wolfram von Eschenbach (Le avventure di Parsifal), Goffredo di Strasburgo (Tristano e Isotta), Sebastian Brant (la cui satira, ora nota come La nave dei folli, è tradotta da Pirandello con La barca dei matti), Hans Sachs, poeta, calzolaio e drammaturgo, e Johann Christoph Gottsched. Di Martin Opitz e di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Pirandello sottolinea l’imitazione dei francesi e degli italiani, che giudica infausta: «Mal per l’uno e mal per l’altro, ché i francesi imitavano solamente i latini, come gli italiani attraversano il brutto periodo del marinismo dell’Arcadia». I modelli stranieri sono presenti, specie i sommi, come John Milton e William Shakespeare; seguono i grandi esponenti del preclassicismo tedesco del XVIII secolo come Klopstock (con il poema epico-sacro Messiade), Lessing e Wieland; ed ecco infine la grande stagione della cultura teutonica, che annovera i nomi di Winkelmann e di Schiller, dei fratelli Schlegel e di Heinrich Heine, di Gossner, Breitinger, Bodmer e di Johann Wolfgang von Goethe. ©
Alcune pagine inedite del manoscritto di Luigi Pirandello conservato nella bibioteca di Agrigento.
Testo di Luigi Pirandello
"Colla caduta degli Staufen intanto decade la poesia medievale tedesca. I cavalieri, abbandonati dalla casa d’Asburgo, non han più tempo da badare alle loro canzoni d’amore – bisogna che si chiudano nei loro castelli e si difendano dai rozzi borghesi, che schiavi un dì sono or rinati a libertà durante le crociate. Coi borghesi ignoranti trionfa la perfetta anarchia, la confusione. La povera arte in questa società che si vien disfacendo, precipita così anch’essa – siamo dal XIV secolo [...] al XV, i due secoli più sconsolati, segnati dall’orma della barbarie. Con l’alba del XVI sorge prima l’Italia dalla triste notte medievale.
Intanto l’elemento borghese si perfeziona, arriva a un certo grado di cultura, ed ecco uscire la robusta voce dell’età nuova.
L’umanismo italiano e il cesarismo politico tentano di penetrare in Germania, ma il terreno non vi è preparato. Lo spirito d’indipendenza personale e locale vi è ancora troppo fiero – si nota veramente al sud un certo stringersi delle genti verso casa d’Asburgo – ma il nord meno incivilito, meno penetrato dagli istituti e dalle idee romani e romanzi, si ribella a ogni tentativo e prende cammino a sé, e si collega coll’estremo settentrione in un sentimento di rigido pietismo e di rozzo e tenace teutonismo.
Sono i borghesi che non vogliono accettare nulla dai preti e dai cavalieri, loro predecessori, e vogliono far da sé, a tale ostinazione nella tradizione paesana fa parer quasi rimbarbarito per un po’ tutto il paese. Date loro tempo, avremo tra poco la riforma religiosa – è un’opposizione al romanesimo, ai preti e ai cavalieri – la prima solenne manifestazione della vita tedesca.
Vero è intanto che essa riforma porta da principio più danno che bene all’arte, ma non così alla scienza: gli spiriti mediante essa si abitueranno a meglio combattere la lotta dell’avvenire. Oggi l’assolutismo papale, ma dimani anche l’assolutismo luterano, e attraverso questa lotta si giungerà alla vittoria della dea Ragione. A questo momento la letteratura figlia della via opposta – per una vanno i classicisti imitatori degli umanisti italiani; per l’altra i poeti popolari, specialmente satirici, il popolo vuol ridere ed essere divertito e anche istruito: Seb. Brant scrive la Barca dei matti. Fischart rifà Rabelais e Sachs poeta e calzolaio mette su con le sue scarpe commedie e storie. In politica l’astuzia prevale alla forza: e il romanzo di Renardo e Isengrino rifatto in basso tedesco dall’olandese piace al popolo.
Ma sul principio del XVII le due vie tendono a riunirsi, a convenire – i primi che giungono in questo punto di riunione sono l’Opitz e l’Hoffmann – il primo imita i francesi, il secondo gli italiani – mal per l’uno e mal per l’altro, ché i francesi imitavano solamente i latini, come gli italiani attraversano il brutto periodo del marinismo dell’Arcadia. Gottsched pedante spadroneggia – non vede che modelli francesi e regole di Boilcan. Ma tra breve il popolo tedesco sentirà di poter marinar la sua scuola e vorrà fare da sé.
Il Gossner, l’Ermete, l’Heine vengono a dire come e perché si debbano studiare i classici e la gioventù s’innamora di essi e delle spiegazioni di questi seri critici. Breitinger e Bodmer due svizzeri che ai modelli francesi contrappongono i modelli inglesi Milton e Shakespeare. Ecco che nel 1748 erano i primi canti della Messiade di Klopstock, il primo poeta tedesco originale – manca però a lui la sobrietà e l’evidenza: è vaporoso, fantastico e sentimentale – è troppo nuovo, troppo giovine. L’immagine serena, l’armonia sono ancor molto lontane da lui. Accanto al Klopstock sorge il Wieland, rappresentante del mondo più fino più pratico che segue un po’ le tendenze evolutive di Voltaire – Schiller si svolge dal primo, dal secondo il Goethe.
Ecco intanto sorgere la bella figura del Lessing. Egli non è contento né del Klopstock, né del Wieland, ma pure applaude al primo e incoraggia e dirige il secondo. Egli richiama le menti dei suoi contemporanei agli antichi, e ripeteva sentenze del Winkelmann, che la sola via per diventare originali sia l’imitazione, bene intesa, degli antichi.
L’opera critica del Lessing è continuata, ma con diverso indirizzo, dall’Herder. Egli è il Giangiacomo della scienza prima. Tutto per lui fu buono in origine, tutto si corruppe da poi, si tornò dunque alla natura prima. Omero, Ossian, la Bibbia, il canto popolare – ecco i nuovi tesori di vera poesia. Ciò contiene in sé i primi germi del più sbrigliato classicismo (ci darà Lenau). Egli è il promotore di quel periodo della storia letteraria che si chiama della furia e dell’assalto, dal quale derivano i primi lavori del Goethe e dello Schiller. Nel primo vi è qualcuno del nostro Ariosto, nell’altro del Tasso.
I fratelli Schlegel e il triste ritorno verso il medio evo. L’arte grande rappresentata dal periodo di virilità del Goethe svanisce. Il concetto medievale dell’uomo che tende all’impossibile e si sciupa, e dell’uomo che non aspira a nulla e imbestialisce: Lenau e Heine.
Non è impossibilità, è ostinatezza a non voler fare: e non sono ciechi, ma hanno gli occhi chiusi e non li vogliono aprire". ©