Le residenze degli scrittori. Impastare i mattoni con l’inchiostro

Le residenze degli scrittori.  Impastare i mattoni con l’inchiostro

di Nicola Bottiglieri

Agli amanti dei libri piace curiosare anche nella vita degli scrittori. E anche chi ai libri si accosta progressivamente è spesso incuriosito da usi e costumi degli autori che hanno fatto la storia della propria cultura nazionale. Per questo, visitare le case degli scrittori è un’esperienza intensa. Leggere una pagina nella stanza in cui anni prima fu scritta dà un sapore diverso al testo, come aggiungere uva al vino, cacao in polvere alla tavoletta di cioccolata, arancia all’aranciata; insomma raddoppiare il senso delle parole, creando echi insperati. Come mettersi in una stanza piena di specchi e vedere il moltiplicarsi delle immagini. Nell’osservare stanze e arredi, ninnoli o quadri di quelle residenze, inoltre, si conosce il lato «umano» dell’autore dei libri letti: abitudini, gusti culinari, dinamiche familiari. Più di qualsiasi fotografia, la casa fa vedere la persona nei suoi gesti quotidiani, nell’uso degli spazi domestici: il bagno, il tavolino su cui scriveva, il letto dove faceva l’amore. Anche l’etimologia sembra confermare il fascino di questa esperienza. La parola casa viene dal latino casa, che significa casa rustica, capanna o luogo coperto e più anticamente dal greco kas, che significa pelle. La casa, quindi, può essere vista come l’estensione della pelle di chi vi abita. E proprio come succede ai corpi, le case possono essere «tatuate», dipinte: pareti affrescate, spazi riempiti di immagini. A rafforzare l’immagine della casa come luogo forte ci aiuta anche il verbo abitare che viene dal latino habere e sta ad indicare l’uso frequente e continuato di un avere. Tuttavia anche l’espressione «il corpo è abitato dalle parole» ha un significato pieno e non metaforico, perché l’uso continuo delle parole deriva dal fatto che esse hanno casa nel corpo. Potremmo dire che gli autori altro non fanno, scrivendo, che edificare piccole case di carta e che i libri possono essere visti come minuscole costruzioni di carta nelle quali abitano le parole. Così, se si vuole conoscere davvero uno scrittore, bisogna visitare le stanze in cui ha vissuto e dove sono nate le sue opere. Le abitazioni degli scrittori si possono dividere in due categorie: la casa bottega, cioè dove ha solo lavorato, e le case che egli stesso ha costruito impastando i mattoni con l’inchiostro, le parole con il calcestruzzo e la pozzolana. I luoghi di quelli che, oltre a fare rimare le sillabe di un verso, hanno fatto di tutto per far combaciare il muro perimetrale con il pavimento. 

 Si pensi alle residenze di Hemingway a Cuba, di Pablo Neruda in Cile, di Gabriele d’Annunzio a Gardone (il Vittoriale degli Italiani). Vi sono anche case che potremmo qualificare come «minori», semplici appartamenti dove lo scrittore si «rintanava»: quelle  di Calvino a Roma, di Sanguineti a Genova, di Pirandello in Sicilia, ma anche di Cervantes ad Alcalà o di Calderón a Madrid. E ancora: di Antonio Pigafetta a Vicenza (oggi abitata); di Che Guevara ad Alta Gracia, in Argentina; di Mario Praz a Roma (Palazzo Ricci e, poi, Palazzo Primoli) rese celebri nelle pagine de La casa della vita. Distinzione importante perché alcune sono state dichiarate case-museo, altre invece hanno avuto solo l’onore di una lapide o di una targa commemorativa. Le case-museo sono quelle che è possibile valorizzare (e in molti Paesi lo sono) dai vari ministeri della Cultura e che – opportunamente fatte conoscere – riescono a richiamare migliaia di visitatori all’anno. In Cile, le abitazioni di Neruda sono divenute simbolo della resistenza a Pinochet, quando scrivere il proprio nome e la data sulla palizzata veniva considerato dalla polizia un atto sovversivo. Quella di Hemingway alla Finca Vigia, ad una decina di chilometri dall’Avana, è tappa obbligata per il turista tropicale e quella di D’Annunzio, un modo per ricordare sia il poeta che l’audace guerriero del volo su Vienna. Insomma visitare queste residenze è un modo per leggere un libro scritto con le pietre; girovagare per le stanze, un modo per riassumere i temi dell’opera dello scrittore; sfiorare con le dita le pareti, quasi a tastare le parole nate in quel luogo. 

 Nel visitare la casa di Hemingway a Cuba, più di tutte le altre stanze colpisce il bagno: di fronte alla tazza del water c’è una biblioteca ben fornita.  Di lato troneggia una poderosa bilancia che Hemingway usava tutti i giorni, come testimoniano le annotazioni a matita fatte sui muri, con peso e data. Essendo, quindi, la visita alle residenze degli scrittori un’esperienza che lascia forti ricordi, spiace che in Italia – a parte poche eccezioni (il Vittoriale di D’Annunzio, le case-museo di Alfieri ad Asti e di Manzoni a Milano) – esse non vengano aperte e valorizzate come veri e propri musei. In Cile, annesso alla casa di Neruda ad Isla Negra, sull’Oceano Pacifico, c’è un ristorante dove si preparano i piatti preferiti dallo scrittore ed anche quelli descritti nelle sue opere; mentre a Santiago, nella residenza della Chascona, è stato costruito un teatro dove si leggono i versi di Neruda, si rappresentano le sue opere teatrali e si organizzano convegni di studio. Chascona ha accolto anche capi di Stato in visita nel Paese. Famosa la sosta di Clinton: comprò le Venti poesie d’amore per regalarle alla moglie Hillary dopo lo scandalo con la giovane Monica Lewinsky.

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