Il poeta Valentino Zeichen (il cui vero nome era Giuseppe Mario Moses), membro del Pen Italia, è morto a Roma, martedi' 5 luglio scorso. Aveva 78 anni. Era nato a Fiume nel 1938. Fra i suoi libri: Area di rigore (1974), Pagine di gloria (1983), Tana per tutti (1983), Gibilterra (1991), Metafisica tascabile (1997), Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio (2000), Passeggiate romane (2004), Poesie 1963-2003 (2004), Neomarziale (2006), Aforismi d’autunno (2010), Poesie 1963-2014 (2014), La sumera (2015).
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di JESPER SVENBRO dell’Accademia Svedese
All’improvviso e' come se mi trovassi davanti alla porta d’ingresso della sua leggendaria «baracca», sotto un tetto di vigne, un giorno di luglio come oggi. Siamo forse nel 1982. Di che cosa parliamo? All’improvviso il nostro scambio di idee e' interrotto da un soffio gelido che troviamo entrambi paradossale, fuori stagione, una repentina anticipazione della fine dell’estate. Sento Valentino pronunciare pensosamente, quasi avidamente, la parola «settembrino», più bella in italiano che in svedese: ecco una definizione perfettamente concisa del soffio che, con il suo gelo, anticipa quello che ci aspetta più tardi. Quello che gia' allora ci aspettava. Dapprima, rifiuto d’accettare che se ne sia andato. Con la sua intrepida arte di vivere, messa a punto decennio dopo decennio, di cui la sua poesia costituiva il commento. La poesia italiana contemporanea ha perduto la voce di un epigrammista, dotato di un’esemplare maestria di incisore nell’uso degli acidi corrosivi dell’ironia.
E Valentino stesso: esemplare nella sua poesia fortemente visiva. Esemplare anche in quanto teorico e autore di poesia narrativa. Autore di prosa poetica nel senso inatteso che i suoi versi hanno un violento impatto che egli stesso definiva prosastico. Non «prosaico». La prosa ha dato alla sua poesia alcuni registri – linguaggi secondi – fra i più significativi. Il suo indirizzo, da mezzo secolo: via Flaminia 86. Obliquamente in faccia al Ministero della Marina e non lontano dal Gartenhaus di Rainer Maria Rilke a Villa Strohl-Fern, a sua volta vicina a quella Villa Borghese in cui, verso il 1950, marinando la scuola, Valentino «batte' tutti i record d’assenteismo». Convalescente, dopo l’ictus dell’aprile scorso, aveva ottenuto, grazie ad alcuni amici e ad opera del senatore Luigi Manconi, un sussidio d’artista in conformitaÌ� alla «legge Bacchelli». Non su sua domanda, come è stato sottolineato. La poesia di Valentino non poteva essere umiliata da una domanda di sovvenzione statale. Durante tutta la vita, Valentino ha saputo trarre le conseguenze pratiche da un esametro delle Epistole di Orazio (I, 10, 41): serviet aeternum, quia parvo nesciet uti («percheÌ� chi del poco non si appaga, si porterà un padrone sulle spalle e lo servira' in eterno»). Spartano, l’arredo della sua baracca. Qualche tempo dopo aver fatto la sua conoscenza e letto la prima raccolta di versi, Area di rigore (1974), ebbi l’impressione di riconoscere la fierezza di cui parla il suo rifiuto di sostegno economico, vedendo la sua silhouette diritta, aristocratica, nel crepuscolo invernale di Piazzale Flaminio. Non era lontano dalla chiesa in cui hanno avuto luogo le sue esequie, venerdi' 8 luglio scorso: Santa Maria del Popolo (famosa per i due quadri del Caravaggio), davanti alla quale lui passava spesso, dirigendosi verso il centro di Roma. Ai piedi delle scalinate della chiesa ci sono due sarcofaghi trasformati in fontane, uno dei quali oggetto di una sua poesia («A Piazza del Popolo», dalla raccolta Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, 2000; ora in Poesie 1963-2014, Oscar Mondadori, 2014): «A Piazza del Popolo / mi accosto alla vasca / di fianco alla caserma, / nel rinfrescarmi il viso / alla bocchetta / mi avvedo di tenere / tra le mani e / l’acqua corrente / i tratti del volto / di chi fu sepolto / in quel sarcofago» .
(Traduzione dal francese di Marina Giaveri)