Il Piccolo Vedetto Lombardo e il Pen

Il Piccolo Vedetto Lombardo e il Pen

di MARINA GIAVERI

Per generazioni di italiani, il ragazzino lombardo che scruta dalla cima dell’albero le posizioni delle truppe austriache  è stata una delle figure fondanti del processo d’identità nazionale. Anche oggi, per generazioni di italiani ormai dimentichi di Cuore e magari ostili alla retorica risorgimentale, resta nella memoria – grazie a un meccanismo di orgogliosa identificazione infantile – la figura del biondo ragazzetto precipitato a terra, il cui corpo si copre di fiori a mano a mano che passano i bersaglieri reduci dalla battaglia di Solferino. Come Emma Bovary e la Sirenetta, come il Conte di Montecristo e Ulisse dal multiforme ingegno, anche la Piccola Vedetta Lombarda è stata accolta nell’Eliso delle figure che hanno formato il nostro immaginario: né stupisca che da quell’Empireo letterario alcune figure possano a volta ridiscendere fra di noi, incuriosite dalle metamorfosi della lingua o della letteratura da cui sono state generate. Eccola, la Piccola Vedetta Lombarda: ha interpellato il Pen Club con una mail cortese pervenutaci pochi giorni or sono: «Gentile Direzione del Pen, poiché vi occupate di Poets, Essayists, Novelists, potrete rispondere con competenza a questo mio dubbio. Giungono qui voci secondo cui nella lingua italiana sarebbe ora d’uopo mettere al femminile tutte le parole maschili che designano uno stato o una professione, quando l’attività in questione sia praticata da una figura femminile; una donna che fa il sindaco o il ministro sarebbe designata come «sindaca» o «ministra». Ma allora suppongo che la stessa cosa debba accadere quando la parola è femminile ma l’attività sia praticata da un uomo. Devo dunque chiamarmi d’ora in poi ‘il Piccolo Vedetto Lombardo’?» 

Un pensoso silenzio ha accolto il messaggio: poi si è aperto un vivace dibattito. 

«E’ fondamentale – dice Bice – che si abbandoni la tradizione androcentrica, perché la rappresentazione della donna attraverso il linguaggio è elemento importante per la parità di genere: lo affermano anche documenti ufficiali del nostro Governo, che raccomandano, già dagli anni Ottanta, di «evitare di usare il maschile di nomi di mestieri, professioni, cariche per segnalare posizioni di prestigio…»; quindi propongono l’uso «di ingegnera, notaia, prefetta, questrice…» 

«Che orrore! – ribatte Euridice – La parità è ben altro. E’ fondamentale che una donna non debba subire 23 dinieghi alla sua richiesta di aborto, come è accaduto a una nostra concittadina veneta, costretta a un vano pellegrinaggio in ben  23 ospedali e che poi ha dovuto rivolgersi alla CGIL! Queste sono le leggi che lo Stato dovrebbe far rispettare! Non imporre neologismi spesso ridicoli!»

«É una situazione che non si può affrontare dall’alto. – commenta Amatrice – I linguisti propongono leggi rigide, ignorando le complessità storiche della formazione di un vocabolario. Così, anche dove sembrerebbero già esistere parole al femminile, si disquisisce sulla loro correttezza: per esempio pare che si debba dire soldata anche se il tempo e l’uso hanno ormai diffuso soldatessa…Certe tendenze fondamentaliste ignorano addirittura l’etimologia, e impongono ridicole battaglie come quella per la parola manager, ritenuta sessista perché privilegia l’attività maschile: e invece non deriva dall’inglese man, ma dal latino manu agere…»

«E’ una contesa dissennata. – concorda Euridice – Non è il maschile di una parola di funzione che mi preoccupa, ma la difficoltà d’accesso alla funzione stessa. Certo, ci sono parole che inquietano, o che addirittura fanno paura. Ma non sono le parole a cui pensiamo. Per me la parola più terribile è la casalinga credenza. Guardate un dizionario etimologico: credenza indica l’armadio o, più anticamente,  la stanza «ove si depongono le cose da mangiare». E da dove probabilmente deriva? Dall’ «assaggio che facevano gli scalchi e i coppieri delle vivande e bevande prima di servirne ai loro signori; e ciò perché una tal prova dava credenza, ossia induceva persuasione che i cibi e i liquori non fossero attossicati». Per me ministro e sindaco vanno benissimo anche per una donna: è importante che credenza non indichi più che la società è fatta da uomini sacrificabili e da altri la cui vita è da proteggere…»

«Insomma, che cosa rispondiamo alla Piccola Vedetta Lombarda? – insiste Bice – Vedo che sta arrivando una seconda mail che riporta una serie di commenti ironici dei suoi amici letterari. Un eroe risorgimentale aggiunge: « Son baffuto/ Forte e bello/ ma rifiuto/sentinello…» mentre la celebre Castafiore invia un lungo componimento che comincia con «Son soprano e me ne vanto / Da soprano canto e canto…»

«Sentiamo il parere di Poets, Essayists and Novelists – conclude tutto il gruppo – E apriamo la discussione nel prossimo numero della rivista: sull’uso dell’ inglese e dell’italiano, sulle competenze attuali in lingua italiana, sul lessico di genere…» ©

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