Dai caffè ai teatri di SYLVESTRE CLANCIER Presidente del Pen Francia
Un Congresso mondiale di qualità – per gli interventi e per l’importanza delle mozioni adottate – questo 83° del Pen Internazionale a Lviv, in Ucraina. Soprattutto se confrontato con i due precedenti. In contiguità con il Congresso ufficiale che si svolgeva all’Hôtel Premier, sono stati organizzati diversi dibattiti letterari e pubbliche conferenze all’Università, al Teatro, al Municipio e nelle librerie di Lviv, il cui fascino centroeuropeo e ottocentesco è innegabile. La città è giustamente considerata la capitale culturale dell’Ucraina. É una metropoli di circa 700mila abitanti che conta quasi centomila studenti, cosa che la rende molto viva e animata. A settembre, cioè al momento della ripresa dei corsi universitari, i tanti caffé risuonavano di interessanti discussioni. L’antica Lviv, che prima della guerra era una città cosmopolita dai molti artisti e intellettuali ebrei noti in Ucraina e all’estero, ha quasi ritrovato i colori di un tempo. Tema di quest’anno – in questo Paese aggredito dal suo vorace e bellicoso vicino, la Russia di Putin – era «La difesa della verità nell’ora della propaganda». Ci sono stati, come ho ricordato, dibattiti interessanti all’Università, soprattutto con Paul Auster. Nella sala del Congresso, proprio Harlem Désir, già deputato al Parlamento europeo e attuale delegato alla sicurezza e alla libertà dei media presso l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, con sede a Vienna), ha parlato sulla vigilanza necessaria contro i pericoli che minacciano tale libertà d’espressione nei media, sulla protezione delle fonti – assolutamente vitale per i giornalisti – e sulla difesa della libertà d’espressione di scrittori e giornalisti, qualunque siano i loro mezzi. Durante il Congresso un nuovo e importante Manifesto delle Donne del Pen Internazionale è stato elaborato, convalidato e adottato in seduta plenaria dall’insieme dei delegati ufficiali di numerosissimi Paesi presenti al Congresso. Ritengo necessario darne qui i sei punti fondamentali: 1) Non-violenza. Mettere un termine alla violenza fatta alle donne sotto qualunque forma, compresi gli aspetti psicosessuale, psicologico, verbale, digitale; promuovere un contesto in cui esse possano esprimersi liberamente, con la sicurezza che ogni violenza sia perseguita e punita; e che alle vittime siano riconosciuti danni e risarcimenti. 2) Sicurezza. Proteggere le donne scrittrici e giornaliste e combattere l’impunità per atti di violenza e molestie commesse contro di loro in ogni parte del mondo e su internet. 3) Educazione. Eliminare la differenza di genere a tutti i livelli dell’educazione, promuovendo la libertà d’accesso a un’educazione di qualità per tutte le donne e assicurarsi che esse possano pienamente esercitare il loro diritto di educazione alla lettura e alla scrittura. 4) Uguaglianza. Assicurarsi che sia accordata uguaglianza davanti alla legge alle donne in rapporto agli uomini, condannare la discriminazione femminile sotto ogni forma e procedere alle tappe necessarie per eliminare le discriminazioni assicurando una totale uguaglianza fra le persone, attraverso lo sviluppo e la promozione delle donne scrittrici. 5) Accessibilità. Assicurarsi che alle donne sia riservato uguale accesso ai diritti civili, politici, economici, sociali e culturali e fornire piena e libera partecipazione e riconoscimento alle donne in tutti i media e attraverso tutte le forme d’espressione letteraria. 6) Parità. Promuovere uguale partecipazione economica alle donne scrittrici e giornaliste e che esse siano assunte e remunerate alle stesse condizioni degli uomini, senza alcuna discriminazione. I l mio amico Emmanuel Pierrat, scrittore e giurista, vicepresidente del Pen francese, ha proposto una risoluzione sulla pena di morte, adottata dall’assemblea dei delegati. Sono numerosi, infatti, gli scrittori che vivono ancora sotto la minaccia quotidiana di veder condannare, con la pena capitale, il pacifico esercizio della loro libertà d’espressione. So bene, come lo sanno tutti gli scrittori del Pen, quanto spesso l’istituzione della pena di morte nelle legislazioni nazionali sia uno strumento di cui si servono i governi per far tacere ogni forma di opposizione politica, rappresentando, questa, un freno alla libertà d’espressione, senza la quale non potrebbe emergere lo spirito critico necessario al forire di ogni forma culturale. É nostro compito combatterla e fare tutto il possibile per vederla scomparire. Numerosi membri del Pen international si sono in ogni tempo opposti con vigore all’uso della pena di morte, in particolare protestando contro l’esecuzione di Ken Saro-Wiwa, nel 1995, in Nigeria, e manifestando per l’annullamento della condanna a morte di Wole Soyinka. Dobbiamo oggi continuare più che mai questa battaglia, poiché la pena di morte, la cui efficacia non è mai stata dimostrata, è crudele, inumana e degradante, e viola i diritti fondamentali dell’uomo, fra cui vi è il diritto alla vita. Né alcun sistema giudiziario – ricordiamolo – può essere infallibile, mentre ogni errore giudiziario che conduce all’applicazione della pena di morte è irreversibile e irreparabile, cosa che non può essere tollerata. Personalmente ho avuto l’onore e il piacere di tenere una conferenza pubblica sul tema dei rapporti tra filosofia e letteratura davanti a un importante pubblico di scrittori, di docenti e di studenti nella principale libreria di Lviv, presentato dal responsabile della sezione di Lviv del Pen ucraino, il poeta e diplomatico Vladimir Karatchintsev, prorettore dell’Università Stavropiguisky a Lviv. Le foto scattate dopo la conferenza mostrano la gioia dei miei amici ucraini. Ho infine molto apprezzato la tavola rotonda dedicata a migrazioni ed esili conseguenti l’invasione di un territorio che si è tenuta al Municipio di Lviv, cui hanno partecipato Emmanuel Pierrat, uno scrittore congolese, una giornalista della Crimea e la scrittrice del Donbass, Elena Stiazkina. É la testimonianza personale e particolarmente commovente della scrittrice che voglio presentare; a partire dalle note che ho preso ascoltandola, poiché non è stata registrata. Eccone l’essenziale, che intitolo, come ha fatto lei per vincere la disperazione, L’anno prossimo a Donetsk: «Sono esiliata nel mio Paese, l’Ucraina, poiché ho dovuto lasciare la mia casa a Donetsk. Ho dovuto mentire ai miei parenti perché lasciassero la loro. Ho detto che si andava tutti in riva al mare. Oggi quelli che non sono partiti, soprattutto i bambini, vivono e si riuniscono nelle cantine. Io sono senza casa, senza lavoro, senza risorse, senza passato. I soldati russi ci sparavano nei piedi per terrorizzarci e ridevano. Mi vergogno di essere diventata xenofoba, ma è la verità, ho paura dei russi. Ho visto come agivano. L’Ucraina si difende, è sola a difendersi, perde i suoi fgli in guerra e protegge l’Europa. Ma è sola, nella stessa situazione che hanno vissuto i Polacchi nel 1939, gli Ungheresi nel 1956, i Cechi e gli Slovacchi nel 1968, gli Afgani nel 1979. Abbiamo conosciuto la stessa tragica situazione di emergenza in Corea e in Donbass nel 2014. A Donetsk non c’è più libertà di espressione, non c’è più legge. La nostra città è vuota, violata, triste e fredda. Uno dei nostri amici che la fotografava è stato arrestato e condannato a 18 anni di prigione: ha 65 anni e una salute fragile. É ancora vivo ? Non si sa. Scrivo un romanzo sul ritorno, dobbiamo ritornare a casa. Evoco la saggezza del popolo ebraico che ogni anno si diceva: «L’anno prossimo a Gerusalemme». Io dico, scrivo: «L’anno prossimo a Donetsk». © Sylvestre Clancier