I manualetti di due artisti falliti che spiegano come dipingere e che cosa

I manualetti di due artisti falliti che spiegano come dipingere e che cosa
Quando creare un’opera d’arte diventa potenzialmente nocivo

di ARISTARCO SCANNABUE

«Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio...»: la ricordate la storia di «Bocca di rosa», cantata da Fabrizio De André? Viene in mente perché un paio di artisti falliti – poi convertitisi con maggiori fortune alla critica d’arte e alla curatela di mostre – hanno scritto due manualetti dedicati a chi coltiva sogni o velleità di fare l’artista. Il primo è stato Francesco Bonami (classe 1955), con Mamma voglio fare l’artista! (Electa, 2013). Adesso è la volta di Jerry Saltz (1951), autore di Come diventare un artista (Johan & Levi). In realtà, oggi diventarlo non è così difficile. Lo dimostrano i fasti di Banksy, il writer di cui si ignora la reale identità (c’è chi pensa che si tratti di un gruppo di graffitari coordinati forse da Damien Hirst, l’artista inglese celebre per aver messo sotto formalina uno squalo) e i 69 milioni di dollari pagati all’asta per Everydays: The First 5000 ays, un collage in digitale di Beeple, nome di battaglia di Michael Winkelmann, 39 anni, graphic designer americano. Ma anche trasformarsi in un critico di successo non è impossibile: Bonami lo è diventato con pseudo-pamphlet dedicati al sistema dell’arte, che ora, raggiunta l’età pensionabile, ha preso a criticare nei suoi meccanismi (gli stessi che lui, prima di fare la comparsa in Tv a Quelli che il calcio... ha per un paio di decenni oliato accuratamente). A Saltz, che lo stesso Bonami ha definito un guru dell’arte contemporanea, hanno addirittura elargito un Premio Pulitzer. Lo ha ottenuto con il saggio autobiografico My Life as a Failed. Adesso, in sei lezioni prende per mano i suoi lettori e, nei vari capitoli, scandisce memorabilia come «al bando ogni imbarazzo», «nessun giorno è sprecato», «i difetti sono la tua forza», «crea per oggi, non per domani» e, ovviamente, «non si smette mai d’imparare». Bonami dice che Saltz, attualmente critico del New York Magazine, se non lavorasse nell’arte farebbe il santone fondatore di una setta. Le affermazioni che costellano queste 172 pagine – «tutto nasce dall’amore», «l’arte è come un roveto ardente», «l’invidia guarda gli altri ma è te che rende cieco» – rendono l’ipotesi tutt’altro che campata in aria. Per il resto, non è che il guru dia consigli sbagliati o cerchi di illudere i suoi lettori: «Probabilmente sarai povero, quindi fattene una ragione», avverte. Il problema? Che tutto ciò che dice è di una banalità sconcertante: l’ovvietà viene spacciata come semplicità. Cosa che, del resto, caratterizza buona parte della produzione artistica d’oggi. La retorica del «sapere antico», per cui potare una pianta, attaccare un bottone o eseguire una xilografia sono la stessa cosa (capitolo 17); la trita questione del «cosa dipingere» o «come dipingere» insita nell’invito a trovare « il contenuto di un dipinto di Robert Ryman» (pittore minimalista); il fatto che il David di Michelangelo o l’Innocenzo X di Velázquez rivisitato nel ’900 da Francis Bacon non rappresentano solo un bel corpo o il ritratto di un Papa in una scatola trasparente, sono soltanto alcuni esempi della didattica per dilettanti del professor Saltz. Ma allora Jerry è il tipico intellettuale di un’era in cui il livello culturale medio sta precipitando ai minimi storici e tutto – anche certe bibliografie dei corsi universitari – viene sacrificato sull’altare della divulgazione, oppure si sta rivolgendo a un pubblico senza pretese? In realtà molte cose vengono spiegate dal fatto che alla Johan & Levi, casa editrice del libro di Saltz, hanno un po’ barato nel tradurre il titolo How to be an artist in «Come essere un artista»: significato ben diverso dall’ammiccante versione sulla copertina dell’edizione italiana («Come diventare un artista»). E allora il manuale diventa l’ennesimo «scopri l’artista che è in te». Il problema riguarda anche il periodo: un anno e più di lockdown, di cassa integrazione, di solitudine a causa della pandemia, potrebbe avere indotto molte persone a occupare il tempo libero con attività potenzialmente nocive, come la creazione di «opere d’arte». Il libro di Saltz, in tal senso, è un affare per l’editore e per i colorifici, ma gli effetti potrebbero essere devastanti, per non dire, ahimè, contagiosi.

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