A Bishkek, l’80° Congresso Internazionale del Pen

A Bishkek, l’80° Congresso Internazionale del Pen
«Sedie vuote» per Azymjon Askarov (Kirghizistan), Ilham Tphti (Cina) e Vladimir Kozlov (Kazakistan)

 

di FRANCA TIBERTO 

Ci si attendeva un’apertura al galoppo attraverso le pianure del Kirghizistan  all’80° Congresso del Pen International tenutosi in Asia Centrale, a Bishkek (29 settembre-2 ottobre), dal momento che, la prima sera, i delegati si sono incontrati nella sala di un cinema, dove si è proiettato Kurmanian Datkan: la regina delle montagne, film epico con stupende immagini di cavalieri che sfrecciavano sullo sfondo della  storia dell’eroina nazionale kirghisa, all’epoca in cui si formò la nazione moderna (XVII-XIX sec.). Bishkek, capitale del Kirghizistan, considerato il Paese più libero tra le ex Repubbliche sovietiche, ha ospitato oltre 200 delegati del Pen, provenienti da 73 Paesi. Il presidente, John Ralston Saul e Marian Botsford Fraser (Comitato Scrittori in prigione) hanno visitato in carcere, con una delegazione del Pen Internazionale, lo scrittore Azymjon Askarov (Kirghizistan). Inoltre, hanno incontrato il Presidente e il Procuratore generale del Kazakistan per perorare la liberazione di altri due intellettuali asiatici – Ilham Tphti (Cina) e Vladimir Kozlov (Kazakistan), cui, quest’anno sono state dedicate le famose «sedie vuote», segno di assenza obbligata ad ogni congresso. Un programma di lavoro piuttosto imbarazzante, quello di Bishkek, a partire dal titolo My language, my story, my freedom.  La mia lingua? Quale delle molte lingue parlate? Oppure scritta, come  il russo? La mia storia? Quella del territorio percorso da nomadi e raccontata dai viaggiatori nordici e russi? Oppure quella romantica della «via della seta»: dalla Turchia alla Cina via Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Kirghizistan? La mia libertà? Quella che si racconta o quella che si vive raccontando? È evidente che il Pen, ancora una volta, ha scelto un Paese dove la presenza di un’associazione che focalizza la propria attenzione sul mondo della parola scritta,  quale caratteristica espressione della libertà e sulla difesa di alcune lingue minoritarie, può lasciare il segno e intervenire presso le autorità locali, in difesa di taluni scrittori o giornalisti  perseguitati, se non addirittura incarcerati. Esaurite le necessarie attività assembleari (tra l’altro contestata la presentazione video del bilancio senza aver fornito la consueta forma cartacea) e ultimato lo svolgimento delle elezioni previste (vedi box a lato) sono state molte, forse troppe, le occasioni letterarie di incontro presso varie Università: Ataturk Alatoo, Manas, la Biblioteca Nazionale e i musei istituzionali.  Incomprensibili molti degli incontri con gli scrittori kirghisi, personaggi di grande spessore,  per i quali spesso è stata necessaria una doppia traduzione. Interessanti, invece, le manifestazioni folcloristiche di musiche e canti. Fra i dibattiti sull’attualità, s’è parlato della confusa situazione in Ukraina: interventi della giornalista russa Ekaterina Turchaninova e dell’ukraino Andrey Kurkov. Dibattito presieduto dalla giornalista norvegese Elisabeth Eide. Ricche di spunti propositivi, le sessioni dei vari comitati internazionali (Donne Scrittrici, Scrittori per la Pace, Scrittori in Prigione, Traduzioni e Diritti linguistici), seguite  da dibattiti pubblici su libertà dei media e diffamazione, con Dunja Mijatovic, rappresentante dell’Ocse. Ci sarebbe comunque piaciuto ascoltare più letture e meno discorsi. I migliori testi  sono stati quelli dei giovani scrittori cui è stato assegnato il New Voices Award 2014 del Pen International, vinto dalla giovane scrittrice russa Marina Babanskaya con The frogs Chorus. Tutto sommato, il Pen Centro Asia si è dato molto da fare con l’aiuto dello staff londinese, nonostante fosse evidente la mancanza di iniziativa personale, delegata ai partecipanti. Gli scrittori hanno certamente vissuto un’esperienza  completamente diversa dagli organizzatissimi congressi di alcuni anni or sono, quando quasi tutti vestivano  l’abito nazionale e gli incontri personali fra i delegati venivano favoriti  dal tempo a disposizione.  Dietro le quinte, umori variabili per il pulmino che non arrivava, le hostess non riconoscibili, lo scarso tempo a disposizione personale e l’inderogabile necessità di esaurire le trattative all’interno dei comitati durante la pausa pranzo. I congressi internazionali costano, come del resto costano ai delegati, i quali hanno più volte espresso l’auspicio che si organizzino  con maggiore frequenza incontri regionali  per favorire legami più costruttivi e scambi personali, traduzioni, informazioni. Ora, con i ritmi incalzanti, i tempi di approfondimento previsti non bastano più. La serie di appuntamenti che si susseguono, non lascia nemmeno il tempo di percepire compiutamente la cultura nell’aria, negli eventi, nella prospettiva della città e dei luoghi d’interesse. Si vedono delegati intruppati tra un luogo e l’altro, si odono conversazioni importanti, ma brevi, tra un sedile e l’altro del pulmino. Chi càpita càpita: un sorriso e due parole al collega uyguri, due domande al delegato curdo, un accenno di sorriso dal collega coreano e l’offerta di una caramella alla collega messicana. Commenti sussurrati, incontri quasi occasionali, proficui contatti, invece, nelle gite postcongressuali alle belle zone di Burana, con le pietre tombali dei guerrieri della prima Khanate  turca e dei musei all’aperto della romantica «via della seta». O magari negli ostelli in case private sulle rive del magnifico Izzit Kul, il lago salato famoso anche per le stazioni termali predilette dal turismo russo. Non vorremmo terminare con la canzone dei rimpianti rispetto agli incontri internazionali di qualche decennio fa, quando lo spirito del Pen, meno globalizzato, tendeva  maggiormente all’incontro e allo scambio di interessi letterari  rispetto alla salvezza del mondo. Alla fine è stato chiesto: «Qual è il cambio più significativo che avete notato nel Pen?». Le risposte arriveranno a Londra. Noi ci stiamo ancora pensando. 

 

Tratto da pp. 16-17 della Rivista n. 28/2014

 

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