Pen Argentina: García Lorca e Neruda al Pen di Buenos Aires

Pen Argentina: García Lorca e Neruda al Pen di Buenos Aires
L’amicizia nata da un’avventura «erótico-cósmica»

 

di Gabriele Morelli 

Una delle condizioni richieste da Federico García Lorca per viaggiare in America era che la nave fosse grande. In effetti, quando ai primi di ottobre del 1933 il  poeta s’imbarca per Buenos Aires con il transatlantico italiano Il Conte Grande, così  scrive alla famiglia: «La nave è splendida e io ho una stupenda cabina in coperta, con bagno e ogni comodità [...]. La nave non si muove assolutamente ed è come un paese pieno di gente di ogni tipo: vecchi, bambini, uccelli in gabbia e molta allegria». Nella capitale argentina, dove García Lorca è invitato per la prima di Nozze di sangue, il poeta arriva il 13 ottobre. Il giorno  dopo, in casa degli scrittori Pablo Rojas Paz y Sara Tornú, Federico conosce Pablo Neruda giunto con la moglie Maruca Hagenaar a Buenos Aires, come console. Il 28 ottobre, il Pen Club argentino organizza una cena in onore dei due scrittori. È da supporre che l’invito fosse riservato solo al poeta granadino che a Buenos Aires aveva ricevuto un’accoglienza trionfale, che crescerà nel tempo finendo per trasformare il suo soggiorno in una defatigante kermesse celebrativa. «Sono un po’ seccato da tanta accoglienza e popolarità – confida ai genitori – ho la fama di un torero». In effetti Pablo, più giovane di 6 anni di Federico, è ancora un poeta in formazione, noto solo in ambito regionale per la raccolta Veinte poemas de amor... e il libro in gestazione Residencia en la Tierra. García Lorca  non aveva dunque bisogno del protagonismo di Neruda perché il Pen Club argentino gli organizzasse un grande banchetto; è più logico pensare – come ipotizza Hernán Loyola, il maggiore studioso e biografo  nerudiano – che sia stato lo stesso Federico a coinvolgere Pablo nella cena ufficiale, alla fine della quale i due nuovi amici sorprendono gli ospiti con un omaggio dedicato al grande poeta ispanoamericano Rubén Darío. L’omaggio consiste in una conferenza detta «al alimón», cioè a due voci, come fossero due fratelli toreri, secondo la definizione taurina inventata da García Lorca, di cui riferisce lo stesso Neruda nel libro delle memorie dove racconta: «Quando ci alzammo per ringraziare il presidente del Pen Club del banchetto che ci era stato offerto, ci alzammo contemporaneamente, come due toreri, per un solo discorso. E dato che la cena si era svolta in tavoli separati, Federico si trovava ad un’estremità della sala ed io all’altra, in modo che, da una parte, la gente mi tirava per la giacca perché mi sedessi credendo ad uno sbaglio, e, dall’altra, facevano lo stesso con Federico. Cominciammo dunque a parlare contemporaneamente, Federico dicendo: “Signori” ed io continuando con “Signore”, ed alternando fino alla fine le nostre frasi, in modo che il discorso parve una sola unità fino a che non smettemmo di parlare. 

Quel discorso venne dedicato a Rubén Darío, perché tanto io che García Lorca, senza che ci si potesse sospettare d’essere modernisti, ritenevamo Rubén uno dei grandi creatori del linguaggio poetico nella lingua spagnola. Ho qui il testo del discorso. Neruda: “Signore...”  García Lorca: “...e signori. Esiste nell’arte dei tori un esercizio chiamato “toreo al alimón” in cui due toreri schivano il corpo del toro coperti dalla stessa cappa». Neruda: "Federico ed io, legati da un filo elettrico, giostreremo insieme e risponderemo in questo ricevimento tanto decisivo"» (Confesso che ho vissuto). La relazione fra i due poeti si salda e si intensifica negli incontri successivi, durante il soggiorno a Buenos Aires, mentre cresce la reciproca stima nei confronti della loro opera in fieri: i libri Poeta en Nueva York di García Lorca (1940) e Residencia en la Tierra di Neruda (1935), cioè la nuova poesia  che apre alla lezione surrealista e dove i due autori, rifiutando la maschera, indagano nella propria intimità e nell’io lacerato dalla crisi esistenziale. Nel citato libro delle memorie, Neruda aggiunge un nuovo racconto che vede la complice partecipazione dei due amici. Si tratta di una «aventura erótica-cósmica», come egli la definisce,  vissuta con «una poetisa alta, rubia y vaporosa», che ha luogo nella lussuosa casa del ricco opinionista politico della città, Natalio Botana,  dove Neruda e García Lorca sono invitati a una cena luculliana, consistente in un intero bue arrostito, il cui profumo ricordava l’aria e i mille altri odori di erbe ed animali della pampa argentina. Durante la cena, gli occhi verdi di una poetessa si fissano sul volto di Neruda. Dopo mangiato, Pablo, la poetessa e Federico si allontanano, attratti dalla vista di un’alta torre che domina la piscina luminosa. Continua il racconto del poeta cileno: «Salimmo lentamente verso il terrazzo più alto della torre. In cima, tutt’e tre, poeti di diverso stile, restammo separati dal mondo. In basso, brillava l’occhio azzurro della piscina. [...] Presi fra le braccia la ragazza alta e dorata e, baciandola, mi resi conto che era una donna carnale e soda, dalle forme perfette. Con sorpresa di Federico ci stendemmo a terra sul pavimento del terrazzo, e già cominciavo a svestirla, quando avvertii sopra e vicino a noi gli occhi smisurati di Federico, che ci guardava senza credere a quanto stava avvenendo. "Via di qui! Vattene e bada che non salga nessuno dalla scala!", gli gridai. 

Mentre sull’alto della torre si consumava il sacrificio al cielo stellato e ad Afrodite notturna, Federico corse allegramente a svolgere la sua missione di celestino e di sentinella, ma con tanta fretta e tanta sfortuna che rotolò per i gradini oscuri della torre. Io e la mia amica dovemmo aiutarlo, con molta difficoltà. Per ben quindici giorni continuò a zoppicare» (Confesso). Del ridanciano episodio da commedia esiste un’altra versione dettata da Blanca Luz Brum, una donna di grande fascino e bellezza, moglie del noto pittore di murales David Alfaro Siquieros, che si presenta come la protagonista dell’incontro amoroso e corregge il racconto di Neruda soprattutto per quanto concerne la presenza e l’intervento di Federico. Ascoltiamo la diversa storia: «Quando [Neruda] cercò di abbracciarmi, non fu lui che chiese a García Lorca di fare da celestino, fui io quella che chiamò Federico perché venisse in mio aiuto... "Allontanati! Vai via da qui  e cerca di non bere più", gli gridò García Lorca... Neruda cercò di allontanarlo, Federico lo schivò e tentò di togliermelo di sopra... ma nel tentare di farlo, il povero poeta, molto più piccolo del cileno, inciampò e cadde dalla scala che scendeva verso la fontana del giardino, trascinando lo stesso Pablo». Pablo e Federico si frequentano assiduamente durante il periodo del soggiorno argentino, sempre più legati dal rapporto di amicizia e dall’interesse verso un nuovo concetto di arte. L’esperienza vissuta presso il Pen Club darà luogo a una nuova collaborazione egualmente  «al alimón»:  la preparazione di un libro Paloma por dentro..., che comprende sette componimenti di Neruda dell’epoca di  Residencia en la Tierra, illustrati da García Lorca. È un libretto con un carattere inquisitorio in cui la «colomba», attraverso i versi  di Neruda e i disegni del granadino, mostra la sua tormentata intimità. Alle interrogazioni del cileno rispondono le immagini di Federico in cui compaiono vene  e ramificazioni nervose che vogliono tradurre  la complessa interiorità. Assistiamo a un gioco di domande e risposte che giungono ad una conclusione comune sul tema del sesso, la solitudine, la morte. La parola e l’immagine si alternano con scarti cronologici che creano effetti metaletterari. Il discorso «al alimón» tenuto da García Lorca e Neruda nella sala del Pen argentino non è più un esercizio di abilità oratoria, ma una lezione di vita raggiunta attraverso l’arte.

 

Tratto da pp. 12-13 della Rivista n. 28/2014

 

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