Inediti del presidente del Pen Francia Valéry segreto e innamorato

Inediti del presidente del Pen Francia Valéry segreto e innamorato

di MARINA GIAVERI

Nell’Europa dell’entre-deux guerres, Paul Valéry, presidente del Pen club francese e membro dell’Académie, poeta ufficiale del suo Paese, era il simbolo di una tradizione di classica limpidezza che aveva saputo assorbire ed esprimere anche i turbamenti e le ambiguità del moderno. Era, come scrisse Borges, «il simbolo di un uomo infinitamente sensibile a ogni fatto e per il quale ogni fatto è uno stimolo che può suscitare un’infinita serie di pensieri». Nell’ultima metà del XX secolo, mentre la sua poesia appariva forse troppo algida e lontana alle nuove generazioni, la pubblicazione dei Quaderni, e poi di inediti riconducibili a inattese sperimentazioni di prosa poetica, ne ha trasformato l’immagine. Valéry è diventato l’uomo dedito per cinquant’anni alla riflessione sul funzionamento della mente, che ha cercato di cogliere con ibridi strumenti attinti alla matematica, alla logica o alla fisica; le poesie e i saggi che gli hanno dato fama appaiono ora semplici documenti della complessità di un’intelligenza tesa in una ricerca essenziale, tappe di un processo di conoscenza infinitamente perseguito a partire dall’analisi di se stesso e dei propri ritmi di pensiero. Le Opere scelte che escono il prossimo anno in Italia nella collezione Meridiani di Mondadori – e di cui pubblichiamo, in anteprima, alcune pagine inedite –, perciò, non offriranno solo la prima immagine completa di Valéry (di cui finora erano state pubblicate in Italia singole opere). Presenteranno un insieme di testi capace di documentare, accanto ai generi praticati (poesia – compresa quella dell’ultima, finora ignota, stagione amorosa –, prosa poetica, teatro, dialoghi, saggistica) anche la costruzione di quegli strumenti e quei modelli di conoscenza che l’hanno reso, come ben sintetizzava Borges, «un uomo i cui mirabili testi non esauriscono, e neppure definiscono, le sue multiformi possibilità».

 

INEDITI PASQUA 1945: JEANNE COMUNICA A PAUL DI AVERE DECISO DI SPOSARSI. DEPRESSIONE DEL POETA CHE MORIRA' QUALCHE MESE DOPO .

Distrutto, rilegge i versi d’amore ispirati dall’amante che aveva scelto lo pseudonimo maschile di Jean Voilier.

L’incontro, nell’ultima stagione della sua vita, con Jeanne Loviton (che preferisce lo pseudonimo maschile di Jean Voilier) rappresenta, per sette anni, un’appassionata consuetudine settimanale. Ma il giorno di Pasqua del 1945, d’improvviso, Jeanne gli comunica di aver deciso di sposarsi: la loro relazione è finita. Valéry ne è distrutto: rilegge i segreti versi d’amore che lei gli ha ispirato (che rimarranno inediti per più di mezzo secolo). «E tu – scrive nel suo ultimo manoscritto –, nessuno ti avrà mai amato d’un amore di questa profondità e di questa qualità». Né morirà pochi mesi più tardi. Ecco alcune poesie inedite, tradotte in italiano da Marina Giaveri.

 

 

 

Tutta la notte l’uccello crudele…

Tutta la notte l’uccello crudele

mi tenne all’acme del piacere a udire l

a sua voce che un tenero furore

volge all’ardore stellato del cielo.

Tu l’anima trafiggi, e fissi il fato

d’uno sguardo che nega il mutamento;

in cenere trasformi quel che è stato,

voce troppo alta, estasi dell’istinto…

Nell’ombra l’alba disegna il bel viso

d’un giorno che per me non conta più:

un altro giorno è solo sfondo uggioso.

Che giorno è mai, senza il viso che hai tu?

No!... Volta a notte, l’anima rifiuta

e l’alba e questa giovane giornata.

 

Il salice

Trema, Tomba leggera… Un soffio t’ama, Salice

e su di te fa fremere il sogno di una spalla…

Brezza?... o solo il sospiro semplice ed improvviso

che esalo per amore del giardino sospeso.

Sui suoi fiori, il mio sguardo inganna l’ardua attesa

del passo, voce, mano, di tutto l’esser tenero,

quella Te che io sento tutta mia divenire,

a cui l’ora che muore d’un tratto mi può unire

E che viene!... Lo sento… La mia bocca t’accoglie!

Il contatto dà all’anima un tremolio di foglie

e i miei occhi, pur pieni di fronde e di chiarore

dietro a me ti ravvisano, tutta rosea d’amore…

Trema, Tomba leggera! Un soffio t’ama, Salice…

Ma non ho più bisogno di sognare una spalla…

E il soffio non è più quello di un solo cuore…

Vinto, il tempo soccombe, e il bacio vincitore

di quell’assenza ignota che un nome scioglie, beve

nell’ombra a lunghi sorsi il fuoco onde si vive!

 

Vana è la vita…

Vana è la vita, appena t’ho lasciata;

la gente tutta m’irrita l’umore;

Odio persino i giochi del pensiero

e i miei versi non sono che rumore…

Cos’è Poesia, appena t’ho lasciata?

Il battente di ferro appena chiuso

dietro di me che mi affretto e mi turbo,

solo e non solo, vado a dorso curvo,

seguendo angoscia, tedio, pena o abuso;

tutto mi è nero, appena il ferro chiuso.

Da te lontano, io sono inquietudine.

Immensa, la Città offende il mio amore

vi si fa il cuore mio una solitudine

ove t’adoro e logoro il chiarore

di un giorno che, senza di te, è inquietudine.

Più ti bevo, Fontana senza fondo,

più mi riduco al bisogno di berti;

è più che amore, ché amore va a fondo

nella corta memoria di un piacere

di cui la carne trova presto il fondo.

Va’, t’odio, mia Sostanza, Meraviglia,

fino a volere, e a morir della voglia,

Dama d’un male che a notte mi sveglia,

che quanto io ti voglio Tu mi voglia

o mia Poesia, o Sostanza, o Meraviglia…

 

Alla profonda Rosa

Rosa oscura e profonda, antro d’ombra odorante,

il cui piacere è pianto, o Rosa di piacere,

Rosa umida d’attesa d’una carezza errante

sui bordi del suo calice dove la carne è fiore,

d’un’acqua deliziosa, morbida Rosa, inebria,

fino all’acme divino di un’estasi animale,

un cuore, ostile all’orrida vita che invano svaria,

che beva quel veleno del suo bizzarro male…

Lascia che affondi in te il labbro favorito

la cui opera tenera e sinuosa ha sortito

più, in te sempre di più, ancora più dolcezza;

mentre palpita la bellezza che ti porta

e palpitante ispira una pari tenerezza c

he al suo sospiro accorre e presta ti trasporta…

  

Era bella…

Era bella, col cuore carico di contrasti:

amava gli anatroccoli, l’amore, i pederasti

che portano la posta su un vassoio d’argento

seguiva le lezioni dei Maestri, pensando

a ben altra lezione, a luci meno austere

a certi insegnamenti d’altro complementari,

al sapere, seguito nell’ombra, di un sospiro.

Era tenera. Ed era dolce aggomitolarsi

voluttuosamente, come una gatta, in Lei.

Guardare il giorno spegnersi sopra la sua pupilla

vicinissima, e attendere in silenzio l’amore.

 

 

 

Mia bella Notte…

Mia bella Notte, che non verrai mai,

quando verrai, perfetta e tutta amore

cullando nell’incanto del respiro

un dolce sogno dalle braccia vere?

Tutto silenzio e solo il pieno abbraccio

di vita e vita, e forze ond’è creato

questo delirio immobile che intreccia

a un corpo l’altro, su lui modellato.

D’ogni parte raggiungersi e congiungersi

non saper più chi si tocca e chi s’ama,

unirsi, o Notte, sì forte che l’anima

non sappia più quale estasi scegliersi.

Eterna notte, eternamente breve,

fra le lenzuola dei tesori scrigno,

mia Notte d’oro, che non verrai mai,

quando verrai, se non verrai che in sogno?

 

 

Infinita giornata…

Infinita giornata senza voi, senza te, senza Tu,  senza Noi,

senza che la mia mano,

che va, che viene, sopra i tuoi ginocchi, ti parli  in sua maniera,

senza che l’altra, dentro la criniera

dei forti crini che amo carezzare,

gratti amorosa la testa che temo…

Distrutto, rilegge i versi d’amore ispirati dall’amante che aveva scelto lo pseudonimo maschile di Jean Voilier

Infinita giornata senza che quelle fronti che tutto ravvicina,

anche l’amaro e un’ombra di richiamo,

senza che abbiano volto l’una all’altra i loro occhi,

i miei bevendo i tuoi, tuoi begli arcani,

e i tuoi nei miei vedendo luci e lacrime…

O giorno troppo lungo... Sto male. La mia mente

è senza armi. E se tu non mi sei qui, la morte

mi si fa familiare, mi morde sordamente.

Io sto fra lei e te; lo sento ad ogni ora.

Che io viva o che muoia dipende dal tuo cuore

adesso tu lo sai, se giammai dubitasti

che a causa di chi amavo io potessi morire

poiché della mia anima facesti foglia tremula

come quella del salice, ohimè, che ieri insieme

guardavamo davanti ai nostri atti d’amanti

svolazzare nell’aurea dolcezza dei tramonti…

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