Mario Vargas Llosa: gli 80 anni del premio Nobel

Mario Vargas Llosa: gli 80 anni del premio Nobel

1990: la mancata presidenza del Perù nel giorno del «Premio Castiglione di Sicilia». Lo stesso giorno in cui Alberto Fujimori si insediava a Lima, lo scrittore riceveva il riconoscimento nella terra di Pirandello

Nel luglio 1990, a Mario Vargas Llosa viene consegnato, in provincia di Catania,  il Premio Castiglione di Sicilia per la narrativa straniera. Premiati anche il Nobel Josip Brodskij (poesia straniera), Alessandro Parronchi (poesia italiana), il Nobel Kai M.B. Siegbahn (scienza), Vittorio Zucconi (giornalismo italiano), Eric Kusch (giornalismo straniero).  Nel settembre 1994, Vargas Llosa vince, in Lombardia, il Premio Vailate-Sala con Il pesce nell’acqua, edito da Rizzoli. Ripubblichiamo le due interviste di Sebastiano Grasso uscite sul Corriere della Sera, rispettivamente nel 1990 e nel 1994.

di Sebastiano Grasso

A colloquio con Mario Vargas Llosa, considerato, assieme a Gabriel García Márquez, uno dei maggiori scrittori viventi dell’America Latina, famoso anche in Italia dove Feltrinelli, Einaudi e Rizzoli hanno pubblicato buona parte dei suoi libri: La città e i cani (1962), La casa verde (’65), Conversazione nella cattedrale (’69), Pantaleone e le visitatrici (’73), La zia Giulia e lo scribacchino (’77), Guerra della fine del mondo (’81), Storia di Mayta (’84), Chi ha ucciso Palomino Molerò? (’87), Il narratore ambulante (’88), Elogio della matrigna (’89). Lo scrittore peruviano è arrivato in Sicilia da Parigi, con la moglie Patrizia. Proprio oggi per lui sarebbe dovuto essere un giorno speciale. In Perù, festa nazionale, s’insedia il nuovo presidente Alberto Fujimori, vincitore delle elezioni del 10 giugno scorso. Elezioni in cui Vargas Llosa ha raccolto il 42 per cento dei consensi. 

Castiglione di Sicilia, piuttosto che Lima. Un premio letterario invece della presidenza del Perù...

Sono felice di questo riconoscimento. Nella coincidenza della data trovo una sorta di compensazione alla mancata presidenza.

 É stato detto che lei è venuto qualche mese in Europa per fare un libro sulle recenti elezioni peruviane...

No. Almeno, non ora. Con un simile argomento occorre misurarsi alla distanza. Ho scritto, invece, un saggio su Karl Popper e sto lavorando ad un nuovo romanzo.

Di che genere?

Sull’irrazionalità e la violenza nella vita peruviana. Una sorta di poliziesco, come quelli che scriveva Sciascia. Che, poi, in realtà, polizieschi non sono. In questo caso è una continuazione ideale di Chi ha ucciso Palomino Molerò? Per il resto ho più progetti che tempo per realizzarli.

Negli anni Sessanta lei s’era trasferito a Parigi dove, come compagni di strada, aveva l’argentino Cortazar, il messicano Fuentes, il colombiano García Márquez, il cileno Donoso e gli spagnoli Semprun e Goytisolo; un po’ tutti legati alla sinistra. Quali differenze trova nella Parigi odierna?

Allora sono rimasto quasi sette anni nella Capitale francese. Ero un giovane rivoluzionario che conservava, però, la propria indipendenza dal marxismo ortodosso. Poi, nel ’68, con la Primavera di Praga, ebbe inizio la mia crisi politico-esistenziale. Col tempo le mie posizioni si sono spostate. Oggi Parigi è un’altra cosa.

José Maria Arguedas. In che cosa siete diversi?

Arguedas scandaglia le Ande, dove per qualche tempo è andato a vivere fra gli indios. Enfatizza le tradizioni regionali, folcloriche. Al contrario, io sono uno scrittore della costa. Il mio linguaggio è sperimentale. Forma e struttura risentono dell’influenza europea.

Di quali scrittori?

Da studente leggevo Sartre e Camus, Bataille. Di quest’ultimo mi affascinava l’aspetto filosofico ed erotico.

Una volta lei ha detto: «Mi piacerebbe che si scrivesse che la mia infanzia trascorse sotto il segno dei romanzi d’avventura e delle gambe di Cyd Charisse: tutt’e due accesero le mie notti di disperata felicità»...

É una frase che sottoscrivo tuttora. La felicità della mia vita la ritrovavo anche nelle pagine di Salgari, Verne, Dumas. Così come nel cinema: modello d’avventure e d’erotismo.

Quando scrive una fiction, riesce a guarire da certe ossessioni?

Se si parte dalle ossessioni per scrivere, sì.

Letteratura come terapia, allora?

Anche. Si può scrivere di qualcosa che non è possibile vivere realmente. La letteratura completa l’esperienza. Mutua desiderio e realtà. E, così facendo, aiuta a vivere.

Quali autori italiani conosce ed ama?

Moravia, Cassola, Sciascia, Calvino, Tomasi di Lampedusa (sul Gattopardo ho scritto un saggio). E Buzzati: soprattutto per il suo mondo fantastico.

Roger Caillois è autore di un’antologia del fantastico. Il fantastico non è di casa nella letteratura sudamericana?

La vera letteratura magica, fantastica, non è quella che se lo propone. Ma quella casuale, non deliberata, che nasce dalle circostanze.

Studi universitari a Lima, matrimonio a 19 anni, dottorato a Madrid. Nella sua biografia si legge che, ancora studente, riuscì ad avere, contemporaneamente, sette impieghi...

É vero: alla radio, in una rivista, in una biblioteca, come assistente d’uno storico, impiegato in un’agenzia turistica, in un settimanale e al cimitero di Urna.

Lei che ha vinto il «Castiglione di Sicilia», crede ai premi?

Non hanno molto a che vedere con la letteratura. Sono utili, però, come stimolo per il pubblico e perché soddisfano la vanità degli scrittori, ch’è grande.

Cultura e tirannia. Le epoche più dure, anche nell’America Latina, hanno prodotto grandi romanzieri...

Spesso la letteratura risponde a circostanze particolarmente difficili. Quando è frutto della società organizzata è più riflessiva, speculare, sperimentale. Nei regimi in crisi diventa più ambiziosa dal punto di vista della creatività perché guarda al reale. E qui trova il clima propizio per la grande avventura letteraria.

Esiste una letteratura prettamente peruviana?

Non ho una visione nazionalista. Dal punto di vista culturale, nell’America del Sud, le frontiere sono in gran parte «artificiali».

Religione e letteratura. Lei è credente?

No, anche se appartengo ad una famiglia cattolica. Però sono convinto della necessità della religione soprattutto nei nostri Paesi, dove essa equivale alla morale. In quelli anglosassoni, invece, la morale s’identifica con 

la legge.

Ultima domanda. Che cosa Vargas Llosa chiederebbe a Vargas Llosa?

Chi è il più grande scrittore dell’America Latina.

E la risposta?

Jorge Luis Borges.

(Corriere della Sera, 27 luglio 1990)

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