«L’italiano siamo noi»: parola della Corte Costituzionale

«L’italiano siamo noi»: parola della Corte Costituzionale

L’inglese: se i rettori si illudono di riempire le università di stranieri

di MARIA AGOSTINA CABIDDU

Le legittime finalità dell’internazionalizzazione non possono ridurre la lingua italiana, all’interno dell’università italiana, a una posizione marginale e subordinata, obliterando quella funzione, che le è propria, di vettore della storia e dell’identità della comunità nazionale, nonché il suo essere, di per sé, patrimonio culturale da preservare e valorizzare»: questo è il nucleo di una sentenza della Corte costituzionale (24 febbraio 2017, n. 42), che non si esita a definire storica. Il primato della lingua italiana viene così radicato nel tessuto costituzionale non certo quale «difesa di un retaggio del passato, inidonea a cogliere i mutamenti della modernità» ma in quanto «garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell’italiano come bene culturale in sé» ed espressione di quella che si potrebbe definire, con un’espressione di sintesi, «biodiversità linguistica». Tutto era cominciato, come è noto, con la delibera del dicembre 2011, con la quale il Senato accademico del Politecnico di Milano deliberava l’erogazione, a partire dall’anno 2014, di tutti i corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca «esclusivamente» in lingua inglese. Contro tale decisione un centinaio di docenti aveva proposto ricorso al TAR per la Lombardia, ottenendo l’annullamento delle delibere impugnate. Le amministrazioni resistenti, chiedevano – a quel punto - una sorta di «interpretazione autentica» del disposto legislativo, appellandosi al Consiglio di Stato, il quale, a sua volta, dubitando della legittimità costituzionale della disposizione, sollevava la questione dinanzi alla Corte. Nel frattempo, continue sono state le iniziative di carattere culturale e «lato sensu» politiche, che hanno animato un acceso dibattito: convegni e seminari organizzati dalle e con le istituzioni specificamente preposte alla tutela e valorizzazione della lingua italiana, una petizione rivolta al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio e ai Ministri competenti («L’italiano siamo noi»), collocata on line e aperta all’adesione di tutti, nonché articoli, saggi e libri, l’ultimo dei quali (L’italiano alla prova dell’internazionalizzazione, Guerini Editore, Milano 2017) vede la partecipazione di autorevoli membri dell’Accademia della Crusca e della Società Dante Alighieri, nonché di giuristi, economisti e scienziati. Oggi, con la sua decisione, la Corte non si limita a ribadire il principio di ufficialità della lingua italiana ma ne definisce la portata normativa anche alla luce di altri principi costituzionali - dall’art. 9 che sancisce l’impegno della Repubblica a promuovere lo sviluppo della cultura, passando per la libertà dell’arte, della scienza e del loro insegnamento. 

Dal diritto all’istruzione e alla formazione superiore fino al principio di eguaglianza e al dovere della Repubblica, ai sensi del secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, di promuovere il pieno sviluppo della persona e la partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese –, individuando in tal modo il primo nucleo di quella che dovrebbe essere una politica linguistica attiva e democratica. Con il che, la parola passa al legislatore, al quale, innanzitutto, spetta il compito di mettere in campo tutte le azioni atte a tutelare, promuovere e valorizzare la nostra lingua, in Italia e all’estero, a iniziare dall’esplicito riconoscimento in Costituzione del principio enucleato dalla Corte. Quando questa vicenda è iniziata, il gran vento della globalizzazione sembrava non ammettere alternative al dilagare del Basic English. L’attuale contesto internazionale – dalla Brexit ai più recenti rivolgimenti sullo scacchiere geopolitico – sembra, invece, suggerire una più consapevole riflessione sulle molteplici implicazioni del «governo» delle lingue: culturali, identitarie, sociali, economiche, democratiche. D’altra parte, come nel teatro greco, la crisi porta sempre con sé la minaccia della fine o la speranza di un nuovo inizio. Per l’Europa, in particolare, allo spettro della dissoluzione si oppone la ripresa del processo di integrazione all’insegna del pluralismo culturale, dell’inclusione e della democrazia: un modello di società che dovrebbe valere per il mondo intero. ©

Leggi la rivista 38/41

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